Inibitori di pompa protonica aumentano rischio di fratture
L'uso di inibitori di pompa per lunghi periodi e a dosi elevate potrebbe essere associato ad un aumento del rischio di fratture.

In questo studio caso-controllo è stato usato il database General Practice Research considerando i soggetti in trattamento con inibitori di pompa protonica (PPI) con più di 50 anni e i non users. 
I casi includevano tutti i pazienti con frattura dell'anca. I controlli sono stati scelti paragonandoli ai casi per sesso, anno di nascita, data index, ecc. E' stato condotto anche uno studio caso-controllo analogo considerando l'uso di H2 antagonisti.
Lo studio ha valutato 13.556 casi di fratture e 135.386 controlli. L'odds ratio aggiustata per fratture dell'anca associate ad un trattamento di 1 anno o più lungo con PPI era di 1,44 (IC95% 1,30-1,59). Il rischio era più elevato per prescrizioni prolungate e ad alte dosi (OR aggiustata 2,65; IC95% 1,80-3,90). 
Gli autori concludono che la terapia a lungo termine con PPI, soprattutto per dosi elevate, è associata ad un aumento del rischio di frattura dell'anca.
Fonte:
Yang Y-X et al. Long-term Proton Pump Inhibitor Therapy and Risk of Hip Fracture 
JAMA. 2006 Dec 27;296:2947-2953. 

Commento di Renato Rossi
Gli inibitori di pompa protonica riducono la produzione di acido cloridrico e questo interferisce con l'assorbimento del calcio. Tuttavia questi farmaci agiscono anche inibendo le pompe protoniche vacuolari degli osteoclasti, il che comporta una riduzione del riassorbimento osseo e quindi, almeno in teoria, si dovrebbe avere un'azione protettiva contro le fratture.
Lo studio recensito in questa pillola farebbe pensare che il primo meccanismo sia prevalente, tuttavia va considerato che si tratta di uno studio caso-controllo. Come si è più volte ripetuto questo tipo di studi produce evidenze deboli in quanto non è mai possibile correggere tutti i vari fattori di confondimento che possono minare le conclusioni perchè i gruppi non sono mai randomizzati. 
Un altro studio caso-controllo [1] su quasi 125.000 casi (soggetti con frattura) e oltre 373.000 controlli (soggetti paragonabili ai casi ma senza fratture) suggerisce che il rischio fratturativo associato all'uso dei PPI è presente ma probabilmente di significato clinico limitato: per tutte le fratture vi è un aumento del 18% e per quelle dell'anca del 45% . Al contrario l'uso degli H2 bloccanti era associato ad una riduzione del rischio, sia di tutte le fratture (12%) che di quelle dell'anca (31%).
Come si vede quindi due studi dal disegno simile hanno prodotto evidenze contrastanti per gli H2 bloccanti e concordanti per i PPI.
D'altra parte proprio i PPI sono farmaci di largo impiego e spesso è necessario usarli per lunghi periodi, per esempio nei cardiopatici anziani in trattamento con aspirina oppure nei soggetti con malattia da reflusso gastro-esofageo quando alla sospensione del trattamento i sintomi recidivano. Come consigliano gli autori vale la pena di considerare la prescrizione di supplementi di calcio negli anziani che devono essere trattatti per lunghi periodi con PPI. Un'altra strategia potrebbe essere quella di usare le dosi più basse necessarie a controllare i sintomi.
Bibliografia
1. Vestergaard P et al. Proton pump inhibitors, histamine H2 receptor antagonists, and other antacid medications and the risk of fracture. Calcif Tissue Int 2006 Aug; 79: 76-83