Viaggiare su Internet in orario di ufficio? Non e’ un reato, ma due!
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Argomento: Normative di interesse sanitario


Il lavoratore che utilizza il computer dell'ufficio per viaggiare su internet (non e' influente il fatto che nel caso in oggetto visitasse anche siti pedopornografici) commette un duplice reato: quello di appropriazione indebita aggravata e quello di interruzione di pubblico servizio. (Cass. II pen. n. 27528/14).
Daniele Zamperini

Il fatto che visitasse siti pedopornografici aveva fatto scoprire l’ impiegato comunale che, pur avendo legittimamente l’ uso del computer e dei locali, ne approfittasse per gironzolare su Internet in orario di ufficio.

Condannato sia in primo grado che in Appello per i reati di cui agli art. 61, n. 11, e 340 codice penale (appropriazione indebita e interruzione di pubblico servizio) il dipendente presentava ricorso in Cassazione sostenendo, in sostanza, che il suo comportamento non aveva comportato un effettivo danno all’ Azienda, avendo questa stipulato un contratto “flat” che quindi non comportava ulteriori addebbiti.

La Cassazione respingeva il ricorso.
Infatti l’ appropriazione indebita si e’ concretizzata nell’ appropriazione “delle energie costituite da impulsi elettronici che erano entrate a far parte del patrimonio della parte offesa" (cioe’ dell’ Azienda), e che questa condotta integrava l'ipotesi di appropriazione indebita (Art. 646 codice penale).
Quanto al reato di interruzione di pubblico servizio, la Cassazione ha rilevato che avendo distolto le apparecchiature informatiche dai compiti istituzionali ( il monitoraggio dell'impianto pubblico di illuminazione) l'imputato causato, per tutta la durata dei collegamenti illeciti, l'interruzione del servizio svolto nell'interesse pubblico, realizzando pertanto "il reato contestato di cui all'art. 340 codice penale".

Commento personale:
Sul problema dell’ uso personale del telefono dell’ ufficio (su cui sono state emesse in passato sentenze varie e talvolta difformi, in cui talvolta l’ atto e’ considerato “non reato” oppure rubricato a titoli diversi) sono intervenute le Sezioni Unite, con conclusioni piuttosto “pesanti” per gli utilizzatori abituali
(Sentenza n. 19054/2013, commento riportato su http://www.scienzaeprofessione.it/public/nuke/modules.php?name=News&file=article&sid=895 ).


La Cassazione stabili’ in quell’ occasione che puo’ concretizzarsi addirittura il reato di peculato, piu’ grave della frode o dell’ appropriazione indebita, anche nel caso di tariffe “flat”.

In quest’ ultimo caso pero’  il reato puo’ essere “graduato” verso fattispecie meno gravi, a seconda dell’ uso concreto che se ne e’ fatto.

In questo caso, anche se non sembra, i giudici hanno avuto la mano non pesantissima, tanto piu’ che la pena veniva dichiarata estinta per prescrizione (salve rimanendo tuttavia le statuizioni civili, certo non leggere).
Daniele Zamperini






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