IL CONSENSO INFORMATO DEVE ESSERE PIU’ SPECIFICO
Data:
Argomento: Normative di interesse sanitario


E’  ben noto che una delle maggiori fonti di “grane” giudiziarie per il medico e’ la qiestione del “consenso informato alle cure” (da non confondersi col consenso al trattamento dei dati personali, argomento del tutto diverso).

Numerose sono infatti le sentenze giudiziarie che condannano i “camici bianchi” per aver fornito al paziente un’ informativa incompleta. Purtroppo la maggior parte dei medici non ha ancora assimilato la vera natura di questo obbligo giuridico.

Molte “informative” che vengono usate sono in realta’ generiche e incomplete, non idonee ad ottenere un valido consenso; sono poi sempre omesse le informazioni specifiche sulla situazione “locale”, che invece vanno fornite sempre.
Daniele Zamperini



Premesse
E’ pacifico il fatto che il medico debba informare il paziente prima di intraprendere una qualsiasi terapia, in quanto il paziente e’ “titolare” della propria salute e a lui spettano (con rare eccezioni) le decisioni definitive in merito. Queste decisioni devono basarsi su una informazione preliminare che pero’ costituisce un’ incombenza spesso ignorata o sottovalutata (1).

Numerosa e’ la giurispudenza civile e penale che sottolinea questi aspetti, tanto che le accuse per mancato o incompleto consenso sono ormai una parte consistente del contenzioso (2)
Va sottolineato che la mancanza di un regolare consenso informato costituisce illecito anche se l’ intervento si sia concluso positivamente! (3)

Molti sono i fattori che possono compromettere nel paziente la comprensione delle informazioni mediche: difficoltà linguistiche; retroterra culturale diverso; errori riguardanti la valutazione statistica dei rischi; sovraccarico di informazioni.  Di tutto cio’ si dovra’ tenere conto.
La comunicazione dei dati clinici dovrà quindi essere effettuata prendendo in considerazione la situazione di chi la deve ricevere,  ed essere articolata in modo diverso secondo le condizioni fisiche, psicologiche, socioculturali. Deve essere, in sintesi, assolutamente comprensibile (e compresa!).

Questo aspetto e’ stato spesso, in realta’, trascurato, e questa e’ appunto una delle maggiori fonti di problemi giudiziari. E’ stata infatti prodotta, con lo scopo di prevenire i contenziosi legali ( ma invece spesso lli alimentano) una vasta modulistica che pero’, essendo standardizzata, non rispetta le regole dette sopra. Per esentare il medico da eventuali responsabilità giuridiche o disciplinari non è sufficiente la sottoscrizione di un modulario standard, se l’informazione del paziente non è stata completata con spiegazioni e chiarimenti. La firma di un modulo sarebbe solo una vuota formalita’ se l’ informazione non è stata completa e correttamente assimilata dal paziente. Ne’ il consenso deve essere indotto con pressioni o suggestioni da parte dell’ informatore.
 
In altre parole il Consenso Informato non può essere un mero atto formale ma deve essere concepito come un’autorizzazione del paziente (in quanto agente autonomo), a che un intervento medico sia eseguito su di lui e quindi dovrebbe permettere ai pazienti di decidere autonomamente sull’autorizzazione o il rifiuto di interventi medici.

Le informative “sbagliate”
Nella raccolta del consenso informato si osservano alcune tipologie ricorrenti di errore:

 - L’ informativa “formalistica”: un modulo standard viene sottoposto al paziente dal medico o, spesso, da un infermiere, e fatto firmare senza alcuna (o con scarsissime) informazione.
Ho visto moduli adottati in reparti ospedalieri identici per tutti gli interventi che si effettuano in quel reparto nei quali l’ unica differenza consiste nel titolo dell’ intervento programmato. E’ evidente come queste informazioni pecchino di eccessiva generalizzazione e non informino il paziente degli elementi specifici del trattamento a cui si va a sottoporre.
Il massimo dell’ incuria si verifica quandi questi moduli non riportano ne’ il nome ne’ la firma del medico che lo avrebbe sottoposto al paziente!

 
- L’ informativa super-informativa: alcuni reparti per evitare l’ accusa di non aver fornito informazioni esaustive preparano moduli lunghissimi, di varie pagine, zeppi di dati tecnici, spesso espressi in linguaggio mal comprensibile al profano. Tutto cio’ non ha significato se non si da’ al paziente il tempo e la possibilita’ di approfondirlo, e se l’ operatore non ne verifica l’ effettiva comprensione.
 
-L’ informativa troppo generica, e non contenente informazioni specifiche.
Si tratta di un tipo di informativa molto diffusa che maschera dietro un’ apparente completezza (generica) un’ assoluta carenza di informazione specifica.
Un’ informativa che dica ad esempio (come e’ capitato)  “… statisticamente la tal complicazione si verifica in percentuali variabili tra il 2% e il 24%”  e’ in realta’ fallace, perche’ non esprime, in un ventaglio cosi’ ampio, la percentuale attribuibile a quel reparto chirurgico.
Un paziente, per essere veramente informato, ha diritto di sapere se le complicazioni di quel reparto si avvicinino piu’ alla percentuale “virtuosa” del 2% o a quella “viziosa” del 24%.
E’ nel suo diritto poter scegliere in maniera informata se affidarsi ad una struttura o ad un’ altra (4).

Il timore che reparti con un’ alta incidenza di complicazioni possano veder calare il flusso di pazienti afferenti, non puo’ incidere sui diritti del paziente, e deve semmai costituire uno sprone a migliorare, non a celare al paziente questi elementi.
 
Conoscere i singoli operatori e la loro casistica
Questo e’ un aspetto che, specie in grandi strutture ospedaliere, viene quasi sempre ignorato ma che puo’ avere invece una grave incidenza su possibili contenziosi successivi.
Un paziente che accede ad un reparto chirurgico ha diritto di conoscere esattamente le qualifiche professionali e l’ esperienza di colui che lo operera’ perche’ questo, come gia’ detto, fa parte del suo diritto di scelta che non puo’ essere esercitato in mancanza di infomazioni specifiche.
Ne consegue che. allorche’ un paziente che si affidi ad una equipe chirurgica abbia pattuito (seppure informalmente) di essere operato da uno specifico chirurgo, non puo’ essere invece affidato ad altro operatore. E questo vale specialmente quando ci si trovi in grandi Ospedali con numerosi operatori disponibili. 

L’ informazione “specifica” sull’ Ospedale, le sue attrezzature e sulle caratteristiche dei singoli operatori deve diventare quindi, a mio parere, parte integrante delle informative.

Non vedo quale problema possa esserci se all’ informativa vada aggiunto un sintetico ma specifico (in rapporto al tipo di intervento) curriculum.

Quanto detto e’ stato riferito generalmente agli ambienti chirurgici, ma e’ un discorso che dovrebbe riguardare tutti i medici.

 
Anche i medici di famiglia, ad esempio, dovrebbero poter far conoscere ai pazienti il proprio curriculum professionale, le proprie qualifiche accademiche, gli aggiornamenti effettuati, in quanto la scelta di qualsiasi medico va effettuata in base ad una corretta e completa informazione, e non solo su criteri come la vicinanza da casa o la comodita’ degli orari.

Il vero consenso informato, che riguarda TUTTI i sanitari, dovrebbe comprendere anche questi aspetti.
 
Daniele Zamperini

Note e giurisprudenza:
 
(1) Il codice di deontologia medica afferma all’art.30: “Il medico deve fornire al paziente la più idonea informazione sulla diagnosi, sulla prognosi, sulle prospettive e le eventuali alternative diagnostico - terapeutiche e sulle prevedibili conseguenze delle scelte operate; il medico nell’ informarlo dovrà tenere conto delle sue capacità di comprensione, al fine di promuoverne la massima adesione alle proposte diagnostico – terapeutiche”. “Ogni ulteriore richiesta di informazione da parte del paziente deve essere soddisfatta”.
 
(2) “qualora l'informazione sia mancata, in tutto o in parte, si avrà una responsabilità del sanitario colpevole dell'omissione: la quale sarà di natura contrattuale ovvero di natura extracontrattuale (precisamente: precontrattuale ex art. 1337 c.c.), a seconda che si ritenga che il difetto d'informazione rilevi sul piano dell'inadempimento di un contratto già pienamente perfezionato, o su quello, semplicemente, delle trattative”. (Cassazione Civile Sent. n. 7027 del 23-05-2001).
 
(3) Cassazione civile, sez. III, sentenza 8 luglio 1994, n. 6464.
L’obbligo di ottenere il consenso informato del paziente è del tutto autonomo rispetto alla riuscita del trattamento sanitario, e perciò il medico, che abbia omesso di raccogliere il consenso informato, incorre in responsabilità anche se la prestazione sanitaria viene eseguita in concreto senza errori.
 
(4) Cassazione civile – sez. III, sentenza 26 marzo 1981, n. 1773
Nei casi di intervento chirurgico o di altra terapia specialistica invasiva, il consenso ha un oggetto più ampio, esteso non solo ai rischi oggettivi e tecnici, ma anche alla concreta situazione ospedaliera, tale da consentire al paziente di decidere sia se sottoporsi all’intervento sia se farlo in una determinata struttura oppure in un’altra.
 
Altra giurisprudenza:
- “il medico risponde dei danni conseguenti alla violazione, per negligenza, del dovere di informazione del paziente sui possibili esiti dell'intervento chirurgico, al quale egli è tenuto in ogni caso (...)”. (Cass. Sez. III, sent. n. 6464 del 08-07-1994).
- “il consenso, oltre che a legittimare l'intervento sanitario costituisce, sotto altro profilo, uno degli elementi del contratto tra il paziente ed il professionista ( art. 1325 c.c.), avente ad oggetto la prestazione professionale, sicché l'obbligo di informazione deriva anche dal comportamento secondo buona fede cui si è tenuti nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto ( art. 1337 c.c.)”. (Cassazione Civile Sent. n. 10014 del 25-11-1994)

 
- Il professionista ha il dovere d'informare anche sulle eventuali ragioni che possono rendere inutile la sua prestazione in relazione al risultato; in particolare, per il chirurgo estetico detto dovere comprende, oltre la prospettazione dei possibili rischi del trattamento suggerito, anche la effettiva conseguibilità o meno del miglioramento estetico desiderato dal cliente in relazione alle esigenze della sua vita professionale e di relazione”. (Cass. civ. 08-08-1985, n. 4394)
 
- “Il consenso informato - personale del paziente o di un proprio familiare - in vista di un intervento chirurgico o di altra terapia specialistica o accertamento diagnostico invasivi, non riguardano soltanto i rischi oggettivi e tecnici in relazione alla situazione soggettiva e allo stato dell'arte della disciplina, ma riguardano anche la concreta, magari momentaneamente carente situazione ospedaliera, in rapporto alle dotazioni e alle attrezzature, e al loro regolare funzionamento, in modo che il paziente possa non soltanto decidere se sottoporsi o meno all'intervento, ma anche se farlo in quella struttura ovvero chiedere di trasferirsi in un'altra. L'omessa informazione sul punto può configurare una negligenza grave, della quale il medico risponderà in concorso con l'ospedale sul piano della responsabilità civile, quindi del risarcimento del danno, ed eventualmente anche sul piano professionale, deontologico – disciplinare”. (Cass. civ. sez. III 16-05-2000, n. 6318)
 
- L’ informativa per il consenso “non può provenire che dal sanitario che deve prestare la sua attività professionale. Tale consenso implica la piena conoscenza della natura dell'intervento medico e/o chirurgico, della sua portata ed estensione, dei suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili conseguenze negative, con la precisazione, peraltro, che, nel caso di interventi di chirurgia estetica, in quanto non finalizzati al recupero della salute in senso stretto, l'informazione deve essere particolarmente precisa e dettagliata”. (Cassazione Civile Sent. n. 7027 del 23-05-2001)

- La responsabilità per violazione dell’obbligo del consenso informato si realizza anche nel caso di esecuzione di terapie chirurgiche diverse o ulteriori rispetto a quelle per le quali l’informativa è stata fornita ed il consenso prestato: in questa circostanza è del tutto irrilevante, ai fini dell’ esclusione della responsabilità, che il trattamento sia stato tecnicamente eseguito in modo corretto.
(Tribunale Novara, sentenza 05.06.2007 n° 409)

- Cassazione penale, sez. V, sentenza 13 maggio 1992, n. 5639.
Mancanza del consenso del paziente o dei familiari. Il chirurgo che, in assenza di necessità ed urgenza terapeutiche, sottopone il paziente ad un intervento operatorio di più grave entità rispetto a quello meno cruento e comunque di più lieve entità del quale lo abbia informato preventivamente e che solo sia stato da quegli consentito, commette il reato di lesioni volontarie, irrilevante essendo sotto il profilo psichico la finalità pur sempre curativa della sua condizione

- Cassazione civile, sez. III, sentenza 15 gennaio 1997, n. 364.
A meno che siano obbligatori per legge o che ricorrano gli estremi dello stato di necessità e il paziente non possa per le sue condizioni prestare il proprio consenso, i trattamenti sanitari sono di norma volontari (artt. 13 e 32 secondo comma Cost.) e la validità del consenso è condizionata alla informazione, da parte del professionista al quale è richiesto, sui benefici, sulle modalità in genere, sulla scelta tra diverse modalità operative e sui rischi specifici prevedibili (anche ridotti che possano incidere gravemente sulle condizioni fisiche o sul bene della vita) dell’intervento terapeutico - informazione che deve essere effettiva e corretta - e, nel caso che sia lo stesso paziente a richie-dere un intervento chirurgico, per sua natura complesso e svolto in equipe, la presunzione di un implicito consenso a tutte le operazioni preparatorie e successive connesse all’intervento vero e proprio, non esime il personale medico responsabile dal dovere di informarlo anche su queste fasi operative (nel caso di specie in relazione ai diversi metodi anestesiologici utilizzabili, alle loro modalità di esecuzione e al loro grado di rischio), in modo che la scelta tecnica dell’operatore avvenga dopo una adeguata informazione e con il consenso specifico dell’interessato.
Da ciò deriva che, la mancata acquisizione del consenso informato riguardo ai rischi prevedibili di un intervento comporta, in caso di danno, una responsabilità professionale del medico anche in assenza di colpa nell’esecuzione dell’intervento.

- Cassazione civile, sez. III, sentenza 6 ottobre 1997, n. 9705.
L’obbligo d’informazione riguarda anche i rischi specifici delle singole fasi del trattamento sanitario; il medico deve informare il paziente dei possibili benefici del trattamento, delle modalità d’intervento, dell’eventuale possibilità di scelta fra cure diverse o diverse tecniche operatorie e, infine, dei rischi prevedibili di complicanze in sede postoperatoria.
 
- Cassazione civile, sez. III, sentenza 23 maggio 2001, n. 7027.
L’onere della prova dell’avvenuta corretta informazione al paziente è del professionista, non potendosi addossare al primo l’onere della prova negativa della mancata informazione.
 
- Cassazione penale, sez. VI, sentenza 18 aprile 1997, n. 3599.
Il medico è tenuto a comunicare al paziente anche l’esito delle indagini (per esempio, dell’ ecografia), poiché tale informazione può essere essenziale per assumere scelte consapevoli.
 
Daniele Zamperini





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