Certificato telefonico: condanna per medico e paziente
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Argomento: Normative di interesse sanitario


Non e’ consentito al sanitario emettere un certificato (neppure di prolungamento malattia) senza previa visita del paziente in modo da verificarne le effettive condizioni. Commettono reato sia il medico che il paziente che se ne serve ( Cassazione V penale n. 18687/12 ).
Il medico come Superman?
Daniele Zamperini

Il medico aveva visitato la paziente 4 giorni prima stilando un primo certificato di malattia poi, informato telefonicamente del persistere dei disturbi, aveva prolungato ulteriormente il periodo di malattia senza controllare direttamente le condizioni della paziente.
Denunciati, il medico e la paziente venivano entrambi condannati, l’ uno (Pubblico Ufficiale) per aver stilato un certificato giuridicamente “falso” (art. 480 C.P.), la paziente per averlo consapevolmente utilizzato per propri fini (art. 489 C.P.).
 
Ricorrevano entrambi in Cassazione.
Il medico sosteneva la “non-falsita’ “ del certificato e la sua buona fede sostenendo di aver emesso il certificato sulla base di quanto rilevato in occasione della visita di 4 giorni prima, e di averlo poi prolungato in quanto i sintomi riferiti dalla paziente erano compatibili con quanto da lui diagnosticato precedentemente.
La Cassazione respingeva il ricorso del medico sottolineando che “ la falsa attestazione attribuita al medico non attiene tanto alle condizioni di salute della paziente, quanto piuttosto al fatto che egli ha emesso il certificato senza effettuare una previa visita e senza alcuna verifica oggettiva delle sue condizioni di salute, non essendo consentito al sanitario effettuare valutazioni e prescrizioni semplicemente sulla base di dichiarazioni effettuate per telefono dai suoi assistiti. Cio’ rende irrilevanti le considerazioni sulla effettiva sussistenza della malattia  o sulla induzione in errore da parte della paziente”.

 
Veniva poi confermata anche la condanna della paziente: una volta “ ritenuta  la falsita’ della certificazione medica ne discende necessariamente la responsabilità’ della ricorrente per aver fatto uso dell’ atto falso”.
 
Un commento:
Non e’ possibile contestare, in linea di principio, la correttezza della sentenza.
Ritengo pero’, con tutto il rispetto per i principi legali, che sarebbe necessario un approccio piu’ realistico e meno dogmatico al problema.
La “certificazione telefonica” (ma occorre sottolineare che la sentenza parla piu’ genericamente di “prescrizione”, per cui nella fattispecie potrebbero rientrare anche le semplici ripetizioni di ricette, qualora richieste solo telefonicamente) e’ certamente atto anomalo e irregolare, tuttavia la richiesta assoluta di “visita medica” per ogni atto e’ pure irrealistica e impossibile da ottemperare nel caos dell’ esistenza quotidiana, dove l’ affollamento degli studi medici e la burocratizzazione sempre piu’ spinta richiederebbero al contrario, per lasciare al sanitario il tempo per il suo compito fondamentale, curare gli assistiti)  un approccio semplificativo e meno formale.
Il medico non e' dotato di superpoteri e il carico di richieste e' diventato ormai insostenibile e, spesso, impossibile da soddisfare nel pieno rispetto di tutte (ma proprio tutte) le regole formali.

Il ruolo di Pubblico Ufficiale attribuito al Medico di Famiglia, poi, rende la situazione ancora piu’ complessa e opprimente, in quanto vengono puniti come reati comportamenti che possono rivelarsi perfettamente adeguati dal punto di vista sanitario, ma effettuati in deroga ai sempre piu’ estesi “doveri d’ ufficio”.
 
Tralasciando i casi  dei “furbi” e degli approfittatori (che certamente ci sono) molto spesso cadono nella rete dei medici soltanto “ingenui”, convinti in buona fede di stare facendo il meglio nell’ interesse dei malati.
  Va tenuto conto, inoltre, dell’ impatto delle nuove tecnologie: un medico mediante la teleconferenza, ad esempio, potra’ lecitamente certificare di aver riscontrato una patologia dermatologica?

Forse la situazione andrebbe un po’ ripensata…
Daniele Zamperini
 
 





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