Le linee - guida non possono ne' devono essere vincolanti
Data:
Argomento: Normative di interesse sanitario



La Cassazione, in una recentissima sentenza (Sezione IV, 19/09/2012, n. 35922) ribadisce il concetto che le linee-guida e i protocolli non possono costituire fonti di regole cautelari codificate, e quindi di valore assoluto, ma restano sottoposte al vaglio critico del medico, che deve valutare caso per caso.
Cio’ non sembra accordarsi con l’ art. 3 del Decreto Balduzzi ove recita: “I professionisti che, nello svolgimento della propria attività si attengono a protocolli diagnostico-terapeutici, linee guida e pratiche elaborate dalla comunità scientifica nazionale e internazionale, rispondono degli eventuali danni solo nei casi di dolo e colpa grave”.
I medici, che tiravano un respiro di sollievo pensando di avere finalmente dei riferimenti di buon comportamento professionale certi, scopriranno che in sede giudiziaria,  malgrado tutto, non cambiera’ nulla?
Daniele Zamperini


Occorre dare atto che le linee-guida circolanti sono molto spesso di mediocre o cattiva qualita’. Ogni Ente, Associazione, Club, si sente autorizzato ad emanare linee guida su questo e su quello, senza tenere minimamente conto della criteriologia di base, unica che attribuisce autorevolezza a questi prodotti. In questo senso la Cassazione ha senza dubbio ragione, ma spesso invece queste linee-guida “fasulle” vengono invocate a fini accusatori, per attribuire al medico delle responsabilita’. E’ questo aspetto che andrebbe assolutamente combattuto.
Ne abbiamo gia’ discusso in passato; vedi qui
http://www.scienzaeprofessione.it/public/nuke/modules.php?name=News&file=article&sid=335
e anche qui
http://www.scienzaeprofessione.it/public/nuke/modules.php?name=News&file=article&sid=563
 
I Fatti:
Un medico anestesista (I.G.) veniva condannato dal  Tribunale per omicidio colposo avendo effettuata una errata manovra anestesiologica di intubazione nasotracheale provocando la lesione del pilastro anteriore del retro faringe e la conseguente inondazione ematica delle vie respiratorie, con sindrome di stress respiratorio e morte del paziente.
Prima dell’inizio dell’intervento l’anestesista I. tentava tre volte l’ intubazione (due volte per via oro-tracheale ed la terza volta per via naso-tracheale)  provocando una emorragia per cui doveva intervenire un secondo anestesista che invece riusciva ad intubare il paziente per via orale usando una cannula speciale, ‘armata’ dalla presenza all’interno di un filo metallico.
Il paziente decedeva dopo alcuni giorni in conseguenza all’inalazione nei polmoni di quantità rilevanti di sangue.

In primo grado, malgrado che i consulenti del P.M. “assolvessero” l’ imputata concludendo che le lesioni fossero da configurarsi come caso fortuito, la prima anestesita veniva condannata per l’ inidoneità delle scelte tecniche, che non si erano adattate al caso concreto, e in contrasto con le linee guida S.I.A.A.R. T.I. (Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva) che sconsigliano l’intubazione nasale alla cieca.

In Appello l’ imputata veniva invece assolta con la formula piena, essendo essendo stato dimostrato  che l’evento lesivo era stato provocato da una anomalia anatomica del retro faringe del paziente,  imprevista e imprevedibile, accertata sul tavolo settorio. Questo fatto, secondo i giudici di appello, costituiva fattore idoneo ad interrompere il nesso di causalità tra la manovra di introduzione della cannula lungo le vie aeree del P. e l’evento lesivo.

Le parti civili presentavano ricorso in Cassazione, sostenendo in primo luogo che il successo della manovra attuata dalla seconda anestesista con la metodica alternativa, dimostrava che la colpa dell’imputata non consistesse in errore tecnico nella fase dell’intubazione (per l’oggettiva difficoltà incontrata) ma nella inidoneità della scelta tecnica (via di introduzione e tipo di cannula) in quanto le caratteristiche esteriori del paziente avrebbero dovuto far prevedere la difficoltà dell’intubazione, in modo da regolarsi diversamente, in conformità a quanto raccomandato nelle linee guida.

La Cassazione accoglieva il ricorso.

I giudici di appello infatti avevano affermato la correttezza della condotta “tecnica” dell’imputata, ritenendo, insieme ai consulenti del PM, che la malformazione congenita del paziente, imprevista e non prevedibile, aveva interrotto il nesso di causalità tra la manovra di introduzione della cannula e l’evento lesivo. Non si ritenne che tali conclusioni fossero confutabili sulla base delle  raccomandazioni contenute nelle linee guida, ‘che non assumono comunque carattere di protocollo’.
La Cassazione invece contestava fortemente questi assunti, sulla base della giurisprudenza consolidata in tema di colpa professionale medico-chirurgica conseguente alla violazione delle linee guida.
Le motivazioni dei giudici d’ appello – affermava la Cassazione – sono assolutamente carenti  non avendo esaminato l’erroneità della scelta praticata dall’imputata di eseguire la manovra di intubazione attraverso il naso, pur in presenza di caratteristiche particolari del paziente che, ove correttamente valutate, l’avrebbero sconsigliata.
Il giudice di appello non aveva effettuato una sua analisi della situazione limitandosi a sottolineare l’ aspetto di semplice ‘raccomandazione’ costituita dalle linee guida, considerate comunque tali da non assumere comunque carattere di ‘protocollo’.

Le linee guida e i protocolli, proprio in ragione delle peculiarità della attività del medico, che sfugge a regole rigorose e predeterminate, non possono assumere il rango di fonti di diritto rientranti nel paradigma normativo dell’articolo 43 c.p.  ( che connota il delitto “colposo” allorche’ avviene per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline).

"Le linee guida pur rappresentando un importante ausilio scientifico, con il quale il medico è tenuto a confrontarsi, non eliminano la sua autonomia nelle scelte terapeutiche, poiché, l’arte medica, mancando per sua stessa natura di protocolli scientifici a base matematica, spesso prospetta diverse pratiche o soluzioni che l’esperienza ha dimostrato efficaci, da scegliere oculatamente in relazione ad una cospicua serie di varianti che, legate al caso specifico, solo il medico nella contingenza della terapia, può apprezzare. Ne consegue le linee guida e i protocolli, proprio in ragione delle peculiarità della attività del medico, che sfugge a regole rigorose e predeterminate, non possono assumere il rango di fonti di regole cautelari codificate, rientranti nel paradigma normativo dell’articolo 43 c.p.

La Corte enumerava numerosi precedenti in merito ( che inseriremo in un successivo articolo) ma la conclusione appare desolante per i medici:

“ È innegabile … la rilevanza processuale delle linee guida, siccome parametro rilevante per affermare od escludere profili di colpa nella condotta del sanitario. Va chiarito, però, che la diligenza del medico non si misura esclusivamente attraverso la pedissequa osservanza delle stesse.
Le linee guida non possono fornire, infatti, indicazioni di valore assoluto ai fini dell’apprezzamento dell’eventuale responsabilità del sanitario, sia per la libertà di cura, che caratterizza l’attività del medico, in nome della quale deve prevalere l’attenzione al caso clinico particolare e non si può pregiudizialmente escludere la scelta consapevole del medico che ritenga causa cognita di coltivare una soluzione terapeutica non contemplata nelle linee guida, sia perché, come già evidenziato da alcuna delle sentenze citate, in taluni casi, le linee guida possono essere indubbiamente influenzate da preoccupazioni legate al contenimento dei costi sanitari oppure si palesano obiettivamente controverse, non unanimemente condivise oppure non più rispondenti ai progressi nelle more verificatisi nella cura della patologia”.
È innegabile, come emerge dalle pronunce sopra indicate, la rilevanza processuale delle linee guida, siccome parametro rilevante per affermare od escludere profili di colpa nella condotta del sanitario. Va chiarito, però, che la diligenza del medico non si misura esclusivamente attraverso la pedissequa osservanza delle stesse.
È opportuno rimarcare che la posizione di garanzia che il medico assume nei confronti del paziente gli impone l’obbligo di non rispettare quelle direttive [ergo, per quanto interessa, le linee guida] laddove esse siano in contrasto con le esigenze di cura del paziente.
Va, altresì, precisato che le linee guida per avere rilevanza nell’accertamento della responsabilità del medico devono indicare standard diagnostico terapeutici conformi alla regole dettate dalla migliore scienza medica a garanzia della salute del paziente e [come detto] non devono essere ispirate ad esclusive logiche di economicità della gestione, sotto il profilo del contenimento delle spese, in contrasto con le esigenze di cura del paziente [va ovviamente precisato che anche le aziende sanitarie devono, a maggior ragione in un contesto di difficoltà economica, ispirare il proprio agire anche al contenimento dei costi ed al miglioramento dei conti, ma tali scelte non possono in alcun modo interferire con la cura del paziente: l'efficienza di bilancio può e deve essere perseguita sempre garantendo il miglior livello di cura, con la conseguenza del dovere del sanitario di disattendere indicazioni stringenti dal punto di vista economico che si risolvano in un pregiudizio per il paziente].
Può altresì affermarsi che le linee guida non eliminano neanche la discrezionalità insita nel giudizio di colpa; il giudice resta, infatti, libero di valutare se le circostanze concrete esigessero una condotta diversa da quella prescritta dalle linea guida stesse.
 
In altre parole, sia che il medico segua le linee-guida, sia che se ne discosti, egli potra’ sempre esserne chiamato a risponderne, e il giudice resta unico arbitro della situazione.
La speranza che il decreto Balduzzi possa modificare questa tendenza e’ flebile, tuttavia  e’ l’ ultima speranza di far chiarezza in materia.
Daniele Zamperini





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