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Certificato di malattia nei giorni festivi
Pubblicato da dzamperini in data 27/12/2009 10:02
Archivio storico
Il certificato malattia ai fini lavorativi in assenza del medico di famiglia: a chi tocca? Una panoramica del problema ( comportamenti difformi per un problema frequente)

La certificazione di malattia, soprattutto se ai fini del riconoscimento del diritto all' indennita' di malattia, costituisce da sempre un problema abbastanza spinoso per i medici.



Non sono rare le polemiche e le contestazioni insorgenti tra pazienti che accusino malattie e, dall' altra parte, i medici curanti che debbano stilare i certificati.
I problemi si complicano quando il paziente pretenda una certificazione da un medico diverso dal suo medico di famiglia, assente per motivi diversi (festivita', orario notturno, patologia acuta che abbia richiesto intervento di Pronto Soccorso ecc.).
In questi casi possono insorgere problemi rilevanti sia sugli aspetti "formali" che su quelli "sostanziali" della certificazione, nonche' sui vari obblighi e responsabilita' interessanti le diverse categorie mediche. 
Riteniamo utile percio’ effettuare una panoramica generale della situazione della certificazione medica (per motivi di inabilita’ lavorativa) in assenza del medico di famiglia.

Certificazione di malattia per dipendenti pubblici e privati non soggetti a INPS
Per quanto riguarda i dipendenti pubblici (ma alcuni aspetti di quanto diremo possono essere applicabili anche ad alcune categorie di lavoratori privati (1) ) la Legge (art. 30 DPR 686/57) prevede che il dipendente interessato a collocamento in aspettativa per infermita’ debba presentare un certificato medico sul quale debbono essere specificate l’infermita’ e la presumibile durata di questa (2).
La legge non richiede altro; in base a tali norme e’ sufficiente quindi che il certificato venga stilato secondo le regole generali di ogni certificato (contenendo quindi:
- generalita' del paziente,
- generalita' del medico (identificabile da un timbro o da un' intestazione)
- luogo e data del rilascio
- firma del medico

Per quanto riguarda i dipendenti pubblici (ma alcuni aspetti di quanto diremo possono essere applicabili anche ad alcune categorie di lavoratori privati ) la Legge (art. 30 DPR 686/57) prevede che il dipendente interessato a collocamento in aspettativa per infermita’ debba presentare un certificato medico sul quale debbono essere specificate l’infermita’ e la presumibile durata di questa . La legge non richiede altro; in base a tali norme e’ sufficiente quindi che il certificato venga stilato (contenendo quindi: - generalita' del paziente, - generalita' del medico (identificabile da un timbro o da un' intestazione)- luogo e data del rilascio- firma del medico
A questi requisiti "generali" devono essere aggiunti, perche' il certificato sia valido ai fini del congedo per malattia:
a) la diagnosi
b) la prognosi

Non viene richiesto nessun modulario particolare, ne' alcuna dicitura specifica: puo’ essere stilato su carta privata del medico o su carta intestata dell’Ente Sanitario che lo rilascia, purche’ siano in esso indicate le informazioni elencate sopra.
Puo' accadere che il medico, non essendo perfettamente a conoscenza dell' attivita' lavorativa svolta dal paziente, rilasci per errore il certificato al dipendente statale su modulario INPS; in questo caso il medico non commette alcun reato, ne' il certificato verrebbe a perdere di validita’, in quanto verrebbe a contenere ugualmente i dati indispensabili richiesti dalla legge.
E’ da sottolineare come la Legge non chieda una particolare specificazione della prognosi: qualora non specificato, la prognosi ivi espressa e’ ritenuta "presumibilmente lavorativa" pur rimanendo soggetta a verifica degli Enti di controllo.
Questo aspetto si differenzia sostanzialmente da quanto previsto dalla normativa per i dipendenti soggetti a INPS.

Certificazione di malattia per dipendenti privati soggetti a INPS
Le norme riguardanti questa categoria di lavoratori risalgono al 1979 e precisamente al D.L. 30 Dicembre 1979 n. 663 (3).
Tale decreto prevede, all’art. 2, che "nei casi di infermita’ comportante incapacita’ lavorativa, il medico curante redige in duplice copia e consegna al lavoratore il certificato di diagnosi e l’attestazione sull’inizio e la durata presunta della malattia secondo gli esemplari definiti nella convezione nazionale unica per la disciplina normativa il trattamento economico dei medici generici e pediatri stipulata ai sensi dell’art. 9 della Legge 29 Giugno 1977 n. 349 e successive modificazioni e integrazioni".

Alcune osservazioni preliminari:
- La norma esprime un obbligo
- Va applicata solo (e sempre) nei casi con infermita' comportanti incapacita' lavorativa
- Riguarda i medici curanti
- Questi sono tenuti a certificare la diagnosi, l' inizio della malattia e la presunta durata della prognosi lavorativa
- Il certificato va stilato sugli appositi moduli.

Sono necessari pero' alcuni chiarimenti:
Cosa intende la legge quando parla del "medico curante" ?
E’ concetto pacifico, in base ad una giurisprudenza consolidata, che vada inteso come "medico curante" (ove non diversamente specificato) il medico che abbia prestato la sua opera professionale nel caso in esame, a qualunque categoria professionale appartenga.
Le leggi, i Decreti, e ancor piu' le sentenze delle Corti di vario tipo e grado, usano tale terminologia verso ogni categoria: con il termine di "medico curante" viene infatti chiamato, volta per volta, il medico ospedaliero, il medico di Continuita' Assistenziale, perfino il medico privato che presti la sua opera libero-professionale. Il "medico curante" quindi, come pacificamente assodato e confermato da diverse Autorita' (v. note successive) non coincide necessariamente col medico convenzionato con il SSN (4).
Cio' comporta che qualunque medico, sia esso medico di famiglia, che ospedaliero in fase di dimissione, che medico di Pronto Soccorso o addirittura medico privato in visita urgente, debba, a norma della legge 33/80 e degli obblighi deontologici (5) certificare (ovviamente solo se ne riscontri la sussistenza) l’eventuale incapacita’ lavorativa.
La legge, confermata poi da successive disposizioni (6) prevederebbe che tale certificazione venga stilata, in ogni caso, sul modulario INPS previsto nella convenzione dei medici di famiglia. 
Tale modulario, pero’, non e’ in libera distribuzione per tutti i medici, ma e' di uso limitato ai medici convenzionati col SSN e agli altri medici operanti in strutture pubbliche e convenzionate: a questi i modulari vengono distribuiti (o dovrebbero esserlo) tramite i Direttori Sanitari (7).

Il problema del modulario
E' osservazione comune, pero', che tali strutture siano quasi sempre sprovviste di tali moduli: durante la sua pratica professionale trentennale, chi scrive non e' mai venuto a diretta conoscenza di un certificato-malattia rilasciato su modulario INPS da un Pronto Soccorso o da altra struttura ospedaliera.
Infatti l' obbligo di uso del modulario INPS e' stato poi inserito nel contratto collettivo dei medici di famiglia, ma non in quello dei medici ospedalieri; questi ultimi, considerando il "vuoto contrattuale" e il fatto che il DL 663/79 (e modificaz.) non prevede esplicite sanzioni per l' omesso uso di tale modulario, hanno generalmente respinto l' ulteriore aggravio burocratico.
Attenzione, pero', perche' le disposizioni di legge hanno un valore superiore a quelle pattizie derivate dai contratti: l' obbligo stabilito dalla legge resta pertanto in vigore.
Per quanto riguarda i medici privati, poi, non sono state nemmeno studiate o previste procedure che consentano loro di detenere tale modulario.
Si e’ posto quindi il problema di come potessero questi sanitari certificare una inabilita’ lavorativa valida ai fini INPS. Onde evitare infiniti contenziosi, l' Ente si rendeva disponibile ad accettare certificati "non regolamentari" purche' riportanti le informazioni obbligatorie per legge (8).

La "prognosi lavorativa"
I certificati stilati su modulario non regolamentare (vale a dire su carta intestata del medico o dell' Ospedale) riportano generalmente (benche' la legge, come abbiamo visto, richieda una "specifica" certificazione) una prognosi non esplicitamente determinata: non e' possibile, cioe', riconoscere presuntivamente se su un certificato "bianco" la prognosi indicata sia "lavorativa" o esclusivamente "clinica".
Trattandosi di certificazioni effettuate in deroga alla norma generale, esse vengono quindi considerate dall' INPS, salvo diversa specificazione, "presuntivamente cliniche". 
L' Ente richiede quindi, per una "validazione automatica", che gli estensori (ad es. le strutture di P.S.) completino i certificati di loro pertinenza (9) specificando se venga ravvisata un' eventuale prognosi lavorativa.

Poiche' anche tali disposizioni vengono, per abitudine, ignorate, sono state adottate una serie di misure vicarianti: l' INPS ha stabilito di riconoscere comunque come valida, ai fini lavorativi, la certificazione di P.S. per il giorno della prestazione, purche' contenente le generalita' dell' interessato, la data, la firma leggibile del medico e la diagnosi (10). Non e' necessario, per il solo giorno della prestazione, che sia riportata una prognosi: il certificato di PS e' comunque valido per un giorno ai fini lavorativi.
Qualora il certificato di PS indichi invece una prognosi successiva ( non specificandone la tipologia) sara' incarico del medico dell' INPS valutarne, in base alla diagnosi, la congruita' ai fini lavorativi (11).
Qualora poi il certificato sia manchevole di alcuni dei dati essenziali, la sua correzione e/o integrazione va richiesta direttamente ed esclusivamente al medico compilatore (12). La pretesa di esigere la compilazione (nei giorni successivi) di un certificato da parte del Medico di Famiglia che sostituisca e integri quello del P.S. appare palesemente illegittima ( anche a non voler considerare la circolare INPS 99/96) a norma della legge 33/80, che verrebbe violata nel suo enunciato " il medico curante redige in duplice copia e consegna al lavoratore il certificato di diagnosi e l’attestazione sull’inizio e la durata presunta della malattia. 
E' evidente come non sia possibile per un medico che intervenga in tempi successivi, all' oscuro dell' obiettivita' e degli eventuali accertamenti effettuati in Pronto Soccorso, certificare correttamente e con cognizione diretta "la diagnosi, l' inizio e la durata presunta della malattia" come comparivano dal primo giorno. Questo medico puo' legittimamente certificare solo quanto derivi dalla sua visita diretta, restando il periodo precedente solo nell' ambito delle nozioni "riferite" e quindi certificabili solo come tali. Per alcune categorie di lavoratori (ad es. i turnisti) questo aspetto porta una serie di complicazioni non indifferenti.

Obblighi e sanzioni per i medici inadempienti
Da quanto detto si rileva come ogni medico che constati la presenza di una inabilita’ lavorativa sia sempre tenuto a specificarlo in sede di certificazione.
L' omissione di questo obbligo puo' essere sanzionata amministrativamente nei confronti dei medici di famiglia, per i quali puo' rilevarsi un' inadempienza contrattuale; non esistono invece norme contrattuali da invocare nel caso di altre categorie mediche, come ad es. i medici ospedalieri.
Trattandosi pero' di una violazione di legge, essa puo' rientrare in un ambito sanzionatorio piu' generale.
Per i medici operanti in struttura pubblica potrebbe infatti essere ipotizzata l’ipotesi, ad esempio, di una "omissione d' atti d' ufficio" o addirittura un "falso per omissione" (13). E' possibile inoltre ravvisare un illecito disciplinare.  
Sebbene alcune di tali ipotesi possano apparire francamente eccessive, va considerato che la legge 33/80 ha stabilito un preciso obbligo, a cui sono tenuti, in particolare, soprattutto i sanitari che rivestano qualifica di pubblico ufficiale.
Per quanto riguarda l' aspetto disciplinare, e’ anche da tener presente la posizione presa dalla FNOMCeO sulla materia, (come citata in precedenza).
Tali aspetti non vanno percio' assolutamente sottovalutati.

In realta’ non abbiamo rinvenuto precedenti giurisprudenziali su tale specifico argomento; cio' puo' essere dovuto (oltre che a lacune nella nostra ricerca) al fatto che tali figure di reato non vengono direttamente contestate, ma occorre che vengano portate all' attenzione dell' Autorita' Giudiziaria attraverso una denuncia o una segnalazione (cosa che certamente non avviene in assenza di conflittualita' o per casi che vengano in qualche modo risolti).
Cio' infatti viene quasi sempre evitato, a nostro parere, sia per le autonome procedure decisionali stabilite dall' INPS, che per i comportamenti concilianti dei medici di famiglia i quali hanno sempre tenuto precipuamente conto degli interessi del paziente, adoperandosi per minimizzare gli effetti negativi delle certificazioni incomplete di altre categorie.
I medici di famiglia hanno percio' provveduto sovente, seppure non tenuti a farlo, a regolarizzare e a validare i certificati incompleti di altre categorie sanitarie, evitando cosi', in nome di un diverso rapporto medico-paziente, innumerevoli contenziosi giudiziari.
E’ illusoria pero' la convinzione che omettendo la diagnosi "lavorativa" si possa essere esentati dalle eventuali responsabilita’ connesse a questo aspetto: nelle vesti di P.U. (e quindi tenuto, per obbligo del suo ufficio, al rispetto delle leggi vigenti) il medico "pubblico" puo' essere, al contrario, particolarmente vulnerabile, anche in seguito alla mutata consapevolezza degli utenti circa i propri diritti, e al clima conflittuale che puo’ venirsi a creare in caso di contenziosi.
E' facilmente ipotizzabile poi che da una "cattiva" certificazione ospedaliera o di P.S. possa scaturire in alcune situazioni, per l' utente, un "danno ingiusto" che richiamerebbe, senza dubbio, la responsabilita' del medico certificatore, anche in ambito civilistico.
Questo puo' verificarsi, a puro titolo esemplificativo, nei casi di negato pagamento della diaria da parte dell' Ente assistenziale, oppure nel caso di contratti o di polizze che comprendano il risarcimento di una diaria giornaliera solo nel caso di espressa "inabilita' lavorativa": la mancata certificazione di una prognosi lavorativa in caso di patologia che certamente la comporti, qualora provochi un danno al paziente, puo' essere senza dubbio perseguibile (14). 
Molto opportunamente diversi Enti Ospedalieri, pur continuando ad usare un modulario non regolamentare, appongono una doppia prognosi: clinica e lavorativa. Questa procedura appare senza dubbio ottima, tale da evitare qualsiasi dubbio interpretativo. E' necessario pero' che non venga vanificata dal comportamento dei singoli medici che ritengano di non doversi adeguare.
Dovrebbe essere cura delle Direzioni Sanitarie curare il rispetto di tali norme; puo' essere inoltre opportuno in simili casi avviare (da parte degli interessati) quei procedimenti che, attraverso decisioni o sentenze ufficiali prese dalle competenti Autorita', possano finalmente sancire l' effettiva soluzione di questo problema.

Quanto scritto circa l' obbligo di certificazione ha poi valore, a maggior ragione, per altre categorie di medici deputati all' intervento di "urgenza" festiva, come i sanitari di Continuita' Assistenziale.
Per essi (come gia' esposto) oltre alla norma generale, e' valida anche una specifica norma contrattuale, che stabilisce, tra i loro doveri, che " Il medico utilizza, solo a favore degli utenti registrati, anche se privi di documento sanitario, un apposito ricettario, con la dicitura "Servizio continuità assistenziale", fornitogli dalla Azienda per le proposte di ricovero, le certificazioni di malattia per il lavoratore per un massimo di 3 giorni..." (15) .
Questi sanitari, analogamente ai Medici di Famiglia, sono quindi vincolati da una specifica norma amministrativa che li obbliga a certificare la condizione di inabilita' lavorativa, e impone l' uso dello specifico ricettario; queste incombenze rientrano senza dubbio anche negli obblighi d' ufficio della categoria, con tutto cio' che ne consegue. La comune pratica clinica ci informa pero' che spesso questo non accade.
E' evidente come, in attesa di qualche sentenza chiarificatrice, ciascuno sia libero di dissentire dalle nostre conclusioni, e di regolarsi come crede, ma sia consapevole di assumersi la completa responsabilita' delle proprie scelte.
Daniele Zamperini (pubblicato su Doctor, maggio 2004)


P.S. l' evoluzione delle normative ha portato alcune modifiche, come l' omissione della diagnosi nei certificati dei pubblici dipendenti, come riportato in altri articoli di questo sito)

NOTE
1) Le categorie dei lavoratori per i quali va stilato il certificato su ricettario privato non avendo diritto alle indennita’ INPS, sono, salvo omissioni: gli apprendisti, le domestiche, i dipendenti di partiti politici e associazioni sindacali, impiegati dipendenti da proprietari di stabili, impiegati di credito, assicurazioni e servizi tributari appaltati, impiegati dell’agricoltura, dell’industria, lavoratori autonomi, portieri, pubblici dipendenti, viaggiatori e piazzisti. In seguito alle recenti privatizzazioni alcune categorie che prima rientravano tra i pubblici dipendenti, ora fanno parte del comparto privato. Per esse non valgono pero' le norme specifiche per il P.I.
2) Tale orientamento e’ stato poi confermato dalla circolare n. 161.111/10 del 30/10/84 della Presidenza del Consiglio che riporta un parere del Consiglio di Stato dell’11/10/84. Viene specificato che l’art. 5 della Legge 300 del 1970 (Statuto dei Lavoratori) non e’ applicabile al rapporto di lavoro dipendente allo Stato ne' e’ stato esteso dalla Legge a tali categorie. La normativa sulla privacy, finora, fa salve le disposizioni di leggi precedenti. Sono state studiate diverse soluzioni, nel caso di un esplicito rifiuto alla esplicitazione della diagnosi, riportate in altri articoli (ad esempio: aggiungere la dicitura "Omessa diagnosi per espressa volonta' del paziente" (controfirmata da quest' ultimo); oppure rilasciare la certificazione in duplice copia, una delle quali riportante la diagnosi ed una senza diagnosi, in modo analogo al modulario INPS).
3) (G.U. 31 Dicembre 79, n. 355) convertito in Legge con modificazioni con la Legge 29 Febbraio 1980, n. 33.
4) "Si precisa che, se pure, di massima, il sanitario preposto al compito in questione e' quello di libera scelta, l'espressione letterale "curante" utilizzata dal legislatore, porta a dover attribuire validita', ai fini erogativi di cui trattasi, anche alle certificazioni rilasciate, pure su modelli non "standard" (ad es. ricettario privato), da medici diversi, ai quali l'assicurato si sia rivolto per motivi di urgenza ovvero comunque per esigenze correlate alle specificita' della patologia sofferta.... Il criterio vale anche per i certificati rilasciati all'atto della dimissione dagli ospedali o dalle strutture di pronto soccorso..." (Circolare INPS n. 99 del 13/5/1996)
5) "I criteri che precedono risultano del resto condivisi dalla Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi ed Odontoiatri (F.N.O.M.C.e O.)". (Circolare INPS n. 99 del 13/5/1996)
6) Decreto Ministero Sanita’ e del Ministero del Lavoro 30 Settembre 91; Legge 29 Febbraio 80 n. 33, Legge 23/04/81 n.55
7) "Ad evitare possibili riflessi negativi sui lavoratori, sara' cura da parte dell'INPS fornire a tutti i direttori sanitari delle strutture sanitarie pubbliche e convenzionate il predetto modulario, da affidare al Primario responsabile del reparto e da usare, ovviamente, nei confronti dei soli aventi diritto all'indennita' di malattia erogata da questo Istituto." (Circolare INPS n. 99 del 13/5/1996)
8) "La certificazione sanitaria rilasciata, anche su modulario non regolamentare, da medici diversi da quelli di "libera scelta", compresa quella emessa dagli ospedali e dalle strutture di pronto soccorso all'atto della dimissione, e' da ritenere valida ai fini dell'erogazione dell'indennita' di malattia a condizione che contenga i requisiti sostanziali richiesti (intestazione, nominativo del lavoratore, data, firma, diagnosi e prognosi di incapacita' al lavoro). " (Circolare INPS n. 99 del 13/5/1996)
9) "[ Mentre l' Istituto]... riconosce validita' alla certificazione di incapacita' al lavoro rilasciata su ricettario privato (v. circ. n. 134368 AGO/14 del 28.1.1981), purche', ovviamente, dalla stessa siano rilevabili i dati richiesti dalla normativa vigente, si osserva che i referti di pronto soccorso ne sono spesso carenti, mancando talvolta perfino l'indicazione della prognosi." (Circolare INPS n. 145 del 28 giugno 1993).
10) " Limitatamente alle giornate di ricovero e/o alla giornata in cui e’ stata eseguita la prestazione di pronto soccorso cosi’ documentata, agli effetti del riconoscimento del diritto della prestazione, e’ sufficiente che la certificazione suddetta sia redatta su carta intestata e riporti le generalita’ dell’interessato, la data del rilascio, la firma leggibile del medico e l’indicazione della diagnosi." (Circ. INPS n. 136 del 25 Luglio 2003)
11) "... pertanto qualora sul modulo di pronto soccorso non compaia la dicitura esplicita di "incapacita’ lavorativa" esso andra’ sempre e comunque sottoposto alla valutazione del centro medico legale, essendo precisa competenza del dirigente medico stabilire se sul piano legale, la "prognosi clinica" espressa e' congrua con la patologia accertata in diagnosi e assumere le successive azioni di diretta validazione del certificato o richiederne eventuale integrazione e/o controllo" (Messaggio INPS 07/11/2003 n. 968)
12) "Resta ferma in ogni caso che, qualora la certificazione redatta su modulari non regolamentari pur presentando gli elementi essenziali, senza i quali l’atto non e’ neppure qualificabile come "certificato" (e, cioe’, nominativo, intestazione e prognosi) manchi di altri requisiti rilevanti ai fini di interesse (diagnosi data e firma), la necessaria regolarizzazione della stessa dovra’ essere, operata tramite l’interessato, dai medesimi redattori; in particolare non deve essere richiesta, come talvolta e’ stato lamentato, autonoma tempestiva certificazione del periodo come sopra documentato al medico di famiglia, che tra l’atro, potrebbe anche non essere in grado di formulare, nel caso in specie, una corretta prognosi" (Circolare INPS n. 99 del 13/5/1996)
13) "Omissione d' atti d' ufficio": art. 328 C.P. La fattispecie del "falso per omissione" e’ stata indicata dalla Giurisprudenza come "omissione di un dato che l’atto pubblico sarebbe obbligato a contenere" (p.es., a proposito di cartelle cliniche: " È configurabile il falso anche nel caso della omessa indicazione di una circostanza se questa doveva essere indicata nell’atto." Trib. Messina sezione II – sentenza 31/3/2003".
14) E’ esperienza di chi scrive (anche se di puro valore aneddotico) il caso di un soggetto riportante, in seguito ad un sinistro, una grave lesione temporanea a carico dell' arto superiore destro. Il soggetto, oltre alla possibilita' di risarcimento in ambito R.C., aveva anche stipulato una polizza che comprendeva una diaria giornaliera a fronte di specifica inabilita' lavorativa. Il medico di P.S. aveva pero' in un primo tempo rifiutato di certificare questo aspetto (prognosi clinica gg. 20, prognosi lavorativa: zero), ricredendosi pero' frettolosamente (e rettificando il certificato) quando gli fu comunicato che sarebbe stato citato in giudizio.
15) D.P.R. 28 luglio 2000, n. 270 (1) "Regolamento di esecuzione dell'accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale" art. 52

Daniele Zamperini (pubblicato su Doctor, maggio 2004)

 
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