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Sono cieco, eppure ci vedo! L' Anosognosia
Pubblicato da dzamperini in data 31/08/2011 00:00
Archivio storico " Anosognosia": la malattia di chi non sa di essere malato.
Seneca in una lettera indirizzata al suo amico Lucilio racconta con sorpresa e incredulita’ il comportamento di Arpaste, un’amica della moglie: “Questa donna improvvisamente ha perduto la vista. Cosa incredibile ma vera, questa pazza non ha consapevolezza di essere cieca e talvolta chiede al suo custode di essere condotta altrove perche’ dice che la nostra casa e’ troppa buia”.

(Dall' Archivio Storico: Daniele Zamperini, 2000)

Se fosse vissuto qualche migliaio di anni piu’ tardi Seneca avrebbe saputo che la conoscente era affetta dalla sindrome di Anton, scoperta nel 1885.
Solo nel 1914 Babinski defini’ col termine “anosognosia” l’ignoranza o la scarsa consapevolezza di un evidente deficit cognitivo, motorio o sensoriale.
Puo’ sembrare una cosa strana ma invece e’ molto frequente che  soggetti che abbiano subito una lesione cerebrale da ictus o da trauma, pur presentando evidenti fenomeni di deficit motorio a carico degli arti (o sensitivo a carico dei vari apparati) neghino assolutamente la presenza di tale deficit.
La negazione puo’ assumere aspetti assai diversi: interrogati i pazienti possono dire di star benissimo e messi di fronte al loro deficit con una serie stringente di domande possono eludere il problema trovando una giustificazione (plausibile, ma solo per essi) al loro disturbo: proprio come l’amica di Seneca.
Una paziente affetta da tale sindrome insisteva che gli era sufficiente trovare finalmente un paio di occhiali adatti, tanto da essere adirata con i medici che si rifiutavano di darglieli.

A volte le scuse sono davvero bizzarre e arrivano ad essere delle vere e proprie confabulazioni: una paziente intervistata da Ramachandran e Blakeslee nel ‘98, pur essendo affetta da una paralisi totale al braccio sinistro giustificava la cosa con dolori artritici che rallentavano i movimenti, fino a stupirsi ("cosa ci fa quel braccio paralizzato nel mio letto?").

Le scuse cercate sono spesso incongruenti tra loro e contraddittorie da un momento all’altro. In genere comunque, nonostante le possibili confabulazioni, il paziente anosognosico presenta normali capacita’ critiche (negli altri settori) che possono venire testate con le apposite prove psicometriche.

Com’e’ possibile quindi che una persona con capacita’ critiche intatte non sia in grado di rendersi conto della presenza di un proprio deficit tanto evidente?
Le interpretazione di questo fenomeno sono distinte in due ampie categorie: motivazionali e cognitive. Le prime considerano l’anosognosia come un meccanismo di difesa per uno stato di cambiamento improvviso: i pazienti tenderebbero a negare la loro esperienza troppo negativa e dolorosa. Secondo ricerche del 1955 (Urweistein e Kahn) si rilevo’ che in effetti esisteva una certa relazione tra anosognosia e personalita’ premorbose con tendenza a negare le proprie difficolta’ anche in ambiti diversi da quelli del loro deficit.
Le teorie motivazionali tuttavia non spiegano il motivo per cui l’ anosognosia sia piu’ frequentemente associata ad emiplegia destra (53%) e meno ad emiplegia sinistra (14%).
Le teorie cognitive percio’ tendono a considerare la mancanza di consapevolezza di un deficit sensomotorio come un “errore” occorso durante l’elaborazione dell’informazione a livello cerebrale.

Secondo alcuni fisiologi (Mc. Glynn e Schacter,1989) questo deficit sarebbe secondario a una lesione di un sistema neurologico detto “CAS” (Conscious Awareness System) corrispondente ai lobuli parietali inferiori. Tale sistema raccoglierebbe le informazioni provenienti dai vari sistemi relativi alle loro modalita’ specifiche e produrrebbe un output nei lobi frontali responsabili a loro volta di organizzare e monitorare o iniziare complesse sequenze di idee o di azioni.

Uno dei problemi per lo studio dell’ anosognosia e’ dovuto all’ampia gamma di disturbi a cui essa puo’ essere associata. Infatti la mancanza di consapevolezza non si manifesta in modo ben definito e uniforme: vi sono individui che sembrano ignorare completamente la presenza del deficit, altri che lo minimizzano, altri ancora che ammettono una certa difficolta’ ma si comportano in maniera incongruente.

Esistono possibilita’ di recupero anche spontaneo. Inoltre il paziente puo’ mettere in atto delle curiose strategie di compensazione. Ad esempio un paziente, camminando in un corridoio travolgeva qualsiasi persona o cosa si trovasse alla sua sinistra. Per evitare cio’ aveva sviluppato una curiosa strategia purtroppo non molto efficace: quando camminava metteva l’indice di fronte al volto e questo a suo avviso avrebbe dovuto indicargli il centro del corridoio. Bastava seguire il dito e non avrebbe avuto problemi. Purtroppo il suo centro era molto relativo e non ebbe mai grandi risultati.

Per prima cosa comunque, affinche' il paziente affetto da anosognosia possa ottenere un recupero, e' necessario che raggiunga la consapevolezza del suo deficit. Questo perche’, in via di principio, fino a che non si sia arrivati a tal punto esso tende a ignorare, eludere, contrastare le strategie terapeutiche messe in atto. Non e’ ben chiaro pero’ se i pazienti che raggiungono piu’ facilmente questo stadio siano quelli colpiti da forme piu’ lievi o se al contrario costituiscano dei veri successi delle terapie riabilitative messe in opera. 

SIAMO TUTTI ANOSOGNOSICI?
Uno dei problemi di fondo per l’analisi e la terapia di questa forma morbosa e’ costituita dal fatto che, se una persona e’ affetta da tale malattia, non puo’ riconoscere di esserne affetto. E’ possibile percio’ ipotizzare che tutti noi siamo portatori di forme di anosognosia di cui non ci rendiamo conto? E’ ovvio che per le forme piu’ evidenti la diagnosi puo’ essere effettuata da terze persone nel confronto con individui “sani”. Esistono pero’ effettivamente delle anosognosie di cui non siamo consapevoli: una di queste e’ costituita dalla famosa macula cieca, cioe’ quella piccola porzione di campo visivo cieco di cui siamo assolutamente inconsapevoli finche’ qualche caso non ce ne rivela la presenza. E’ ben noto che questo spazio cieco puo’ essere facilmente individuato tramite dei semplici test visivi. La sua presenza e' ben nota ai prestidigitatori i quali sfruttano la situazione di parziale cecita’ indotta da un macula cieca per mascherare le loro magie.
Queste magie non sono altro che abilissimi inganni perpetrati alle spalle del nostro sofisticato cervello, che si lascia gabbare proprio perche’ non elabora (o meglio non si preoccupa di elaborare) l’assenza di informazione proveniente da un certo settore. Proprio su questo punto critico, (e cioe’ sul fatto che il nostro cervello non si occupa di elaborare l’assenza d’informazione) si basa la “discovery theory” di Levine (1990) che non considera l’anosognosia come un errore cognitivo o una forma di difesa psicologica (benche’ non escluda che anche questi aspetti possano contribuire) ma la intende semplicemente come conseguenza del nostro imperfetto processo di monitoraggio, come il frutto di un “normale” fallimento nello smascherare alcuni errori piccoli o grandi del nostro cervello. Il nostro cervello in effetti si rivela incapace di cogliere alcune stimolazioni sensoriali riguardanti i vari aspetti ma considererebbe questa assenza di attenzione come una normale routine di “assenza di segnale”.
Cosi’ resta indifferente ai campi magnetici, agli ultrasuoni, alcuni odori, con un meccanismo di diniego che e’ molto simile a quello dei pazienti anosognosici.
Daniele Zamperini. - 2000
Fonte:
“Psicologia contemporanea” n.157, 2000.

 
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