Betabloccanti nello scompenso cardiaco a frazione di eiezione conservata
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Argomento: Medicina Clinica


 Secondo uno studio osservazionale svedese l'uso dei betabloccanti è associato ad una riduzione della mortalità nei pazienti con scompenso cardiaco a frazione di eiezione conservata.

Lo scompenso cardiaco a frazione di eiezione (FE) conservata (detto anche impropriamente scompenso diastolico) è caratterizzato da segni clinici e sintomi di insufficienza cardiaca, mentre l'ecocardiogramma mostra una frazione di eiezione >= 45%. Le cause sono le stesse dello scompenso cardiaco da disfunzione sistolica (in primis ipertensione e cardiopatia ischemica), tuttavia nella forma da disfunzione diastolica l'ipertrofia e/o la fibrosi portano ad una progressiva riduzione di elasticità delle pareti dei ventricoli con difficoltà al riempimento durante la diastole.
Contrariamente a quanto si riteneva, la prognosi non è migliore nello scompenso diastolico rispetto a quella dello scompenso sistolico, tanto che la mortalità a 5 anni, secondo alcuni studi, arriva al 65%.
E' noto che la terapia dello scompenso cardiaco a frazione di eiezione conservata non è stata così ben studiata come la terapia dello scompenso a frazione di eiezione ridotta.

In quest'ultima condizione i betabloccanti hanno dimostrato di ridurre la mortalità, ma non sappiamo se questo succeda anche per lo scompenso con FE conservata.

Per stabilirlo alcuni autori hanno effettuato uno studio osservazionale analizzando i dati del Registro Svedese dello Scompenso Cardiaco. Si tratta di un registro a cui confluiscono i dati clinici di 67 ospedali e di 95 cliniche ambultoriali di cure primarie. In totale sono stati analizzati quasi 42000 pazienti, oltre 19000 di questi avevano uno scompenso cardiaco a frazione di eiezione conservata (età media 76 anni, 46% di sesso femminile).
Il periodo di osservazione andava dal 2005 al 31 dicembre 2012.

Si è visto che nei pazienti trattati con betabloccanti la sopravvivenza ad un anno era dell'80%, contro una sopravvivenza del 79% in quelli non trattati con questi farmaci.
A 5 anni la sopravvivenza era rispettivamente del 45% contro il 42%. Il tutto si traduce in
una riduzione della mortalità totale del 7% (intervallo di confidenza al 95% da 14 a 0,004).

L'uso del betabloccanti non risultava, però, associato ad una riduzione dell'endpoint combinato mortalità totale e ospedalizzazioni per scompenso.

Lo studio in questione suggerisce quindi che i betabloccanti possono essere utili a ridurre la mortalità anche nello scompenso cardiaco a frazione di eiezione conservata. Tuttavia gli autori riengono necessario che questi risultati vengano confermati da uno studio randomizzato e controllato di adeguata potenza statistica e con idoneo follow up.

Queste conclusioni sono corrette. Infatti lo studio svedese è di tipo osservazionale e pertanto soggetto a vari tipi di distorsioni che potrebbero aver minato l'affidabilità del risultato.


Renato Rossi


Bibliografia

Lund LH et al. Association Between Use of β-Blockers and Outcomes in Patients With Heart Failure and Preserved Ejection Fraction. JAMA. 2014 Nov 19;312:2008-2018.







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