L' Italia, un paese di "poveri ricchi"
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Argomento: Opinioni extraprofessionali


Gli italiani, secondo un recente rapporto Eurispes, producono annualmente, "in nero", un giro d'affari (che l' Ente chiama pudicamente "economia non osservata" tanto per non usare i soliti termini di lavoro nero o evasione fiscale) per complessivi 530 Miliardi di Euro, pari al PIL complessivo di Finlandia, Portogallo, Romania, Ungheria messi assieme.
Questo settore economico, escludendo i redditi illeciti o criminosi, costituisce comunque una sorta di ammortizzatore sociale, un serbatoio di reddito  che consente a moltissimi italiani, ufficialmente poverissimi, di mantenere un tenore di vita piu' che adeguato; e questo spread tra redditi e tenore di vita e' stato statisticamente dimostrato su elementi macroeconomici diversissimi da Regione a Regione.
I veri poveri, quindi, quelli autentici, possono consolarsi, e sperare di riuscire ad entrare in questo giro virtuoso.
Le implicazioni del problema, naturalmente, sono abbastanza ovvie...
Riporto, nel rispetto delle regole editoriali, un interessante articolo edito da IPSOA
Daniele Zamperini

Italian Spread, il Rapporto Eurispes
di Giuseppe Rocco

Con la crisi economica oltre allo spread sui titoli di Stato cresce anche quello tutto italiano tra ricchezza reale, redditi dichiarati e tenore di vita delle famiglie italiane, un differenziale che, soprattutto nelle regioni e nelle province del Sud, registra livelli significativamente elevati. E' la sintetica quanto emblematica sintesi della ricerca Eurispes sull'Italian spread, realizzata attraverso l'analisi e il confronto delle principali voci di entrata e uscita del bilancio di una famiglia italiana-tipo.

Tutti gli indicatori macroeconomici raccontano di una congiuntura economica particolarmente severa con una significativa perdita del potere d’acquisto nel nostro Paese da parte delle famiglie italiane nel corso dell’ultimo decennio; solo un terzo delle famiglie italiane riesce ad arrivare con serenità alla fine del mese, mentre, un italiano su quattro è sempre più costretto a ricorrere al credito al consumo come forma di integrazione al reddito per fare fronte alle necessità contingenti.

E’ il quadro disegnato dell’Eurispes in un interessante studio.

Il tenore di vita degli Italiani è sostenuto non solo dalla economia ufficiale ma anche e soprattutto dalla economia parallela (in particolare il doppio lavoro), spesso sommersa che rappresenta, in un parallelo figurativo, una sorta di “camera iperbarica” dove un gran numero di soggetti produttivi riprendono fiato quando l’atmosfera economico-politica contingente diventa irrespirabile.

L’Ente di ricerca stima che l'insieme dell’economia “non osservata” nel nostro Paese abbia generato nell’ultimo anno circa 530 miliardi di euro, pari al 35% del Pil ufficiale che è intorno ai 1.540mld, una somma equivalente ai Pil ufficiali di Finlandia (177 mld), Portogallo (162 mld), Romania (117mld) e Ungheria (102mld) messi insieme.

Secondo la mappa tracciata dall’Eurispes, il 53% dell’economia non osservata è rappresentato dal lavoro sommerso, il 29,5% dall’evasione fiscale ad opera di aziende e imprese ed il 17,6% dalla cosiddetta economia informale. Per quanto riguarda la parte più consistente dell’economia non osservata, che è quella relativa al flusso di denaro generato dal lavoro sommerso, le stime si attestano a circa 280 miliardi di euro.

Un sistema economico parallelo, non ufficiale, al quale si somma un’altra economia, quella criminale, il cui fatturato l'Eurispes stima in almeno 200 miliardi di euro annui e i cui proventi vengono in gran parte riciclati all’interno dell’economia legale e in parte alimentano il sommerso stesso.

Concentrando l’attenzione sui contenuti fisiologici e non criminosi del fenomeno, con la crisi economica oltre allo spread sui titoli di Stato cresce allora anche quello tutto italiano tra ricchezza reale, redditi dichiarati e tenore di vita delle famiglie italiane, un differenziale che, soprattutto nelle regioni e nelle province del Sud, registra livelli significativamente elevati.

Dal punto di vista empirico infatti, secondo le evidenze dell’istituto di ricerca, i redditi di una famiglia tipo in varie città del Nord, del Centro e del Sud Italia non sono sufficienti a fare fronte alle spese necessarie per condurre una vita dignitosa. Il fenomeno ha una differente distribuzione territoriale, con il primato assoluto delle regioni del Mezzogiorno. L'osservazione dei dati su base regionale, infatti, pone al primo posto la Puglia, dove lo spread tra ricchezza dichiarata e benessere reale si attesta a 54 punti base, seguita da Sicilia, Campania e Calabria spread rispettivamente di 53, 51 e 50 punti).

Al contrario, lo squilibrio tra entrate e uscite di cassa – indice di una ricchezza familiare “non dichiarata” –, è minore nelle regioni del Centro Nord, in particolare in Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige, Lombardia, Lazio ed Emilia Romagna dove il differenziale registra valori minimi: rispettivamente di 1, 11, 12, 13 e 16 punti base.

Se si osservano i valori associati alle singole province, la variabilità dello spread e, quindi, l’incidenza del sommerso sull’economia del territorio, risulta ancora più marcata. In 18 province lo spread supera, infatti, quota 50 punti (Catania, Ragusa, Sassari, Brindisi ed Agrigento in testa, con differenziali pari o superiori a 57 punti base). Altre 60 province (la maggioranza assoluta) ha uno spread compreso tra 20 (Reggio nell’Emilia) e 50 (Avellino, Siracusa, Reggio di Calabria). Si tratta in prevalenza di province localizzate nel Mezzogiorno e nel Centro Italia. Mentre le province di Milano e di Aosta si confermano quelle più coerenti nel rapporto tra entrare e uscite, con uno spread rispettivamente a 0 e a 1 punto base.

A conferma del dato regionale si osserva che tra le 25 province che registrano i livelli di spread più bassi (inferiori ai 20 punti), vi sono soprattutto le città del Nord Italia, segno di un maggiore equilibrio tra entrate e uscite di cassa e di una minore incidenza dell’economia sommersa sul sistema economico locale. E’ interessante anche osservare i profili specifici della fenomenologia. Peso rilevante assumono in primo luogo i doppio lavoristi; almeno il 35% dei lavoratori dipendenti è ormai costretto ad effettuare un doppio lavoro per far quadrare i conti e arrivare alla fine del mese.

Questo vuol dire che sono almeno 6 milioni i “doppiolavoristi” tra i dipendenti che, lavorando per circa 4 ore al giorno per 250 giorni, producono annualmente un sommerso di 90.956.250.000 euro . Lo stesso calcolo è stato applicato agli immigrati clandestini per i quali si stima un sommerso di 10.500.000.000 euro, e agli immigrati con regolare permesso di soggiorno che lavorano in nero, per i quali si stima un sommerso di 12.000.000.000 euro. Di rilievo anche il ruolo dei pensionati attivi; in Italia su un totale di 16,5 milioni pensionati, circa 4,5 milioni hanno un’età compresa tra 40 e 64 anni. È plausibile allora ritenere, stima l’Eurispes, che all’incirca un terzo di essi lavori in nero.

A questo terzo si aggiungono altri 820.000 pensionati tra gli ultrasessantacinquenni, ma evidentemente ancora attivi, che vanno a formare, secondo le stime Eurispes, i 2.320.000 di pensionati italiani che producono lavoro sommerso. Ipotizzando che questi 2,3 milioni di individui lavorino per 5 ore al giorno, con un compenso orario medio di 15 euro, si ottiene un volume complessivo pari a 43,5 miliardi di euro. Altra categoria che sfugge poi ai dati ufficiali è rappresentata dalle casalinghe che nel nostro Paese sono almeno 8,5 milioni.

Sono numerose le casalinghe che in molti casi, svolgono, al di fuori della famiglia, piccoli lavori (ad esempio, baby bitter o lavori di cura e domestici extra familiari) che sfuggono alle stime e ai conteggi ufficiali. Il loro 18,8%, infatti, svolgerebbe lavori che vanno ad alimentare il sommerso con 24 miliardi di euro.

Da non trascurare poi i finti disoccupati; l’Istat rileva inoltre 1.400.000 persone in cerca di occupazione, di queste, secondo le stime della ricerca il 50% lavora totalmente in nero con una media giornaliera di cinque ore per 200 giorni l’anno arrivando a generare ulteriori 12,6 miliardi di euro.

L’Eurispes considera poi quelli che definisce come “indipendenti a tutti i costi” (imprenditori, liberi professionisti, lavoratori in proprio, soci di cooperativa, coadiuvanti familiari, collaboratori a progetto e prestatori d’opera) che genererebbero un sommerso pari a 87 miliardi di euro.

Italian Spread, il Rapporto Eurispes
di Giuseppe Rocco

Con la crisi economica oltre allo spread sui titoli di Stato cresce anche quello tutto italiano tra ricchezza reale, redditi dichiarati e tenore di vita delle famiglie italiane, un differenziale che, soprattutto nelle regioni e nelle province del Sud, registra livelli significativamente elevati. E' la sintetica quanto emblematica sintesi della ricerca Eurispes sull'Italian spread, realizzata attraverso l'analisi e il confronto delle principali voci di entrata e uscita del bilancio di una famiglia italiana-tipo.

Tutti gli indicatori macroeconomici raccontano di una congiuntura economica particolarmente severa con una significativa perdita del potere d’acquisto nel nostro Paese da parte delle famiglie italiane nel corso dell’ultimo decennio; solo un terzo delle famiglie italiane riesce ad arrivare con serenità alla fine del mese, mentre, un italiano su quattro è sempre più costretto a ricorrere al credito al consumo come forma di integrazione al reddito per fare fronte alle necessità contingenti.

E’ il quadro disegnato dell’Eurispes in un interessante studio.

Il tenore di vita degli Italiani è sostenuto non solo dalla economia ufficiale ma anche e soprattutto dalla economia parallela (in particolare il doppio lavoro), spesso sommersa che rappresenta, in un parallelo figurativo, una sorta di “camera iperbarica” dove un gran numero di soggetti produttivi riprendono fiato quando l’atmosfera economico-politica contingente diventa irrespirabile.

L’Ente di ricerca stima che l'insieme dell’economia “non osservata” nel nostro Paese abbia generato nell’ultimo anno circa 530 miliardi di euro, pari al 35% del Pil ufficiale che è intorno ai 1.540mld, una somma equivalente ai Pil ufficiali di Finlandia (177 mld), Portogallo (162 mld), Romania (117mld) e Ungheria (102mld) messi insieme.

Secondo la mappa tracciata dall’Eurispes, il 53% dell’economia non osservata è rappresentato dal lavoro sommerso, il 29,5% dall’evasione fiscale ad opera di aziende e imprese ed il 17,6% dalla cosiddetta economia informale. Per quanto riguarda la parte più consistente dell’economia non osservata, che è quella relativa al flusso di denaro generato dal lavoro sommerso, le stime si attestano a circa 280 miliardi di euro.

Un sistema economico parallelo, non ufficiale, al quale si somma un’altra economia, quella criminale, il cui fatturato l'Eurispes stima in almeno 200 miliardi di euro annui e i cui proventi vengono in gran parte riciclati all’interno dell’economia legale e in parte alimentano il sommerso stesso.

Concentrando l’attenzione sui contenuti fisiologici e non criminosi del fenomeno, con la crisi economica oltre allo spread sui titoli di Stato cresce allora anche quello tutto italiano tra ricchezza reale, redditi dichiarati e tenore di vita delle famiglie italiane, un differenziale che, soprattutto nelle regioni e nelle province del Sud, registra livelli significativamente elevati.

Dal punto di vista empirico infatti, secondo le evidenze dell’istituto di ricerca, i redditi di una famiglia tipo in varie città del Nord, del Centro e del Sud Italia non sono sufficienti a fare fronte alle spese necessarie per condurre una vita dignitosa. Il fenomeno ha una differente distribuzione territoriale, con il primato assoluto delle regioni del Mezzogiorno. L'osservazione dei dati su base regionale, infatti, pone al primo posto la Puglia, dove lo spread tra ricchezza dichiarata e benessere reale si attesta a 54 punti base, seguita da Sicilia, Campania e Calabria spread rispettivamente di 53, 51 e 50 punti).

Al contrario, lo squilibrio tra entrate e uscite di cassa – indice di una ricchezza familiare “non dichiarata” –, è minore nelle regioni del Centro Nord, in particolare in Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige, Lombardia, Lazio ed Emilia Romagna dove il differenziale registra valori minimi: rispettivamente di 1, 11, 12, 13 e 16 punti base.

Se si osservano i valori associati alle singole province, la variabilità dello spread e, quindi, l’incidenza del sommerso sull’economia del territorio, risulta ancora più marcata. In 18 province lo spread supera, infatti, quota 50 punti (Catania, Ragusa, Sassari, Brindisi ed Agrigento in testa, con differenziali pari o superiori a 57 punti base). Altre 60 province (la maggioranza assoluta) ha uno spread compreso tra 20 (Reggio nell’Emilia) e 50 (Avellino, Siracusa, Reggio di Calabria). Si tratta in prevalenza di province localizzate nel Mezzogiorno e nel Centro Italia. Mentre le province di Milano e di Aosta si confermano quelle più coerenti nel rapporto tra entrare e uscite, con uno spread rispettivamente a 0 e a 1 punto base.

A conferma del dato regionale si osserva che tra le 25 province che registrano i livelli di spread più bassi (inferiori ai 20 punti), vi sono soprattutto le città del Nord Italia, segno di un maggiore equilibrio tra entrate e uscite di cassa e di una minore incidenza dell’economia sommersa sul sistema economico locale. E’ interessante anche osservare i profili specifici della fenomenologia. Peso rilevante assumono in primo luogo i doppio lavoristi; almeno il 35% dei lavoratori dipendenti è ormai costretto ad effettuare un doppio lavoro per far quadrare i conti e arrivare alla fine del mese.

Questo vuol dire che sono almeno 6 milioni i “doppiolavoristi” tra i dipendenti che, lavorando per circa 4 ore al giorno per 250 giorni, producono annualmente un sommerso di 90.956.250.000 euro . Lo stesso calcolo è stato applicato agli immigrati clandestini per i quali si stima un sommerso di 10.500.000.000 euro, e agli immigrati con regolare permesso di soggiorno che lavorano in nero, per i quali si stima un sommerso di 12.000.000.000 euro. Di rilievo anche il ruolo dei pensionati attivi; in Italia su un totale di 16,5 milioni pensionati, circa 4,5 milioni hanno un’età compresa tra 40 e 64 anni. È plausibile allora ritenere, stima l’Eurispes, che all’incirca un terzo di essi lavori in nero.

A questo terzo si aggiungono altri 820.000 pensionati tra gli ultrasessantacinquenni, ma evidentemente ancora attivi, che vanno a formare, secondo le stime Eurispes, i 2.320.000 di pensionati italiani che producono lavoro sommerso. Ipotizzando che questi 2,3 milioni di individui lavorino per 5 ore al giorno, con un compenso orario medio di 15 euro, si ottiene un volume complessivo pari a 43,5 miliardi di euro. Altra categoria che sfugge poi ai dati ufficiali è rappresentata dalle casalinghe che nel nostro Paese sono almeno 8,5 milioni.

Sono numerose le casalinghe che in molti casi, svolgono, al di fuori della famiglia, piccoli lavori (ad esempio, baby bitter o lavori di cura e domestici extra familiari) che sfuggono alle stime e ai conteggi ufficiali. Il loro 18,8%, infatti, svolgerebbe lavori che vanno ad alimentare il sommerso con 24 miliardi di euro.

Da non trascurare poi i finti disoccupati; l’Istat rileva inoltre 1.400.000 persone in cerca di occupazione, di queste, secondo le stime della ricerca il 50% lavora totalmente in nero con una media giornaliera di cinque ore per 200 giorni l’anno arrivando a generare ulteriori 12,6 miliardi di euro.

L’Eurispes considera poi quelli che definisce come “indipendenti a tutti i costi” (imprenditori, liberi professionisti, lavoratori in proprio, soci di cooperativa, coadiuvanti familiari, collaboratori a progetto e prestatori d’opera) che genererebbero un sommerso pari a 87 miliardi di euro.

Questo articolo è tratto da: Il Quotidiano Ipsoa
Copyright Wolters Kluwer Italia - P.I. 10209790152

04/09/2012

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