Il trattamento digitalico aumenta la mortalita' nei pazienti fibrillanti
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Argomento: Medicina Clinica


Un’analisi post-hoc dello studio AFFIRM ha rilevato un aumento della mortalita'  nei pazienti trattati con digossina; cautela soprattutto nei soggetti con fibrillazione atriale



Ampi studi osservazionali hanno evidenziato un aumento di mortalità in pazienti trattati con digossina, in particolare nei soggetti con elevati livelli ematici del farmaco. Non è peraltro chiaro se l’associazione sia da attribuire alla tossicità della molecola oppure ad altri fattori confondenti, ad esempio al suo utilizzo in pazienti più gravi, dunque di per sé a elevato rischio. Nello studio DIG la mortalità è risultata più elevata nelle donne [1].

Per chiarire questi aspetti controversi è stata effettuata un’analisi dello studio AFFIRM (Atrial Fibrillation Follow-up Investigation of Rhytm Management), trial condotto su oltre quattromila pazienti con fibrillazione atriale, ad alto rischio tromboembolico, randomizzati a strategia “rhytm-control” (mantenimento del ritmo sinusale) o “rate-control” (controllo della frequenza con persistenza dell’aritmia) [2,3].
Dopo aggiustamento per caratteristiche cliniche, comorbidità e assunzione di altri farmaci, l’analisi ha evidenziato, nei pazienti trattati con digossina, un aumento della mortalità totale (41%), cardiovascolare (35%) e aritmica (61%).
L’ associazione con la mortalità per tutte le cause è risultata significativa in presenza e in assenza di scompenso cardiaco e indifferentemente dal sesso. In pratica, secondo questo studio, in 5 anni un addizionale paziente su 6 in terapia con digossina andrà incontro a morte per qualunque causa rispetto ai soggetti che non assumono il farmaco (uno su otto a morte cardiovascolare, uno su sedici a decesso per aritmia).

Secondo gli autori i risultati sottolineano l’opportunità di considerare come prima linea altri trattamenti, specialmente in presenza di FA, e, in caso di utilizzo della digossina, di essere particolarmente rigorosi nel monitoraggio ematico.

Riferimento

1. Whitbeck MG et al. Increased mortality among patients taking digoxin-analysis from the AFFIRM study. European Heart Journal 2012 doi:10.1093/eurheartj/ehs348

Commento di Giampaolo Collecchia

Alla luce dei risultati dello studio in oggetto, nonostante i limiti di un’analisi post-hoc, il ruolo della digossina viene ulteriormente ridimensionato.
Il suo utilizzo per rallentare la frequenza nei fibrillanti non scompensati può essere preso in considerazione solo in casi selezionati, ad esempio per controindicazione o intolleranza a betabloccanti e calcio antagonisti.
Il controllo della frequenza peraltro non richiede il raggiungimento di valori molto bassi, nella maggioranza dei casi è infatti sufficiente un livello medio < 110 bpm [4]. E’ anche noto che l’azione parasimpatica della digossina ha scarso effetto sulla frequenza quando prevale il drive simpatico, ad esempio sotto sforzo.

Negli scompensati non fibrillanti, le recenti linee guida europee hanno collocato il farmaco tra i trattamenti con benefici meno certi. Dopo molti studi che hanno sollevato perplessità sulla sicurezza, soprattutto per il ristretto indice terapeutico e il possibile effetto proaritmico, il trial DIG (che ha escluso i pazienti fibrillanti !) ha evidenziato un effetto neutro sulla mortalità totale ed un miglioramento della morbilità, peraltro in soggetti sottoposti a stretto follow-up clinico e frequente monitoraggio della digossinemia. I benefici sono stati infatti raggiunti nei pazienti con digossine mia < 0,9 ng/mL.

Nei pazienti fibrillanti e scompensati la digossina ha un suo razionale ma richiede particolare attenzione soprattutto nelle fasi di instabilità, in caso di possibili fluttuazioni elettrolitiche e di riduzione della funzione renale, condizioni in grado di favorire la tossicità.
Attenzione deve essere rivolta anche alle possibili interazioni farmacologiche, in particolare con amiodarone, che può aumentare la concentrazione ematica della digossina, dronedarone, calcio antagonisti, betabloccanti.
In tutti i casi è fondamentale l’utilizzo di basse dosi e il monitoraggio stretto, clinico ed ematico.


Bibliografia

1. The Digitalis Investigation Group. The effect of digoxin on mortality and morbidity in patients with heart failure. N Engl J Med 1997; 336: 525-533
2. Wyse DG et al. Atrial Fibrillation Follow-up Investigation of Rhytm Management (AFFIRM) Investigators. A comparison of rate control and rhythm control in patients with atrial fibrillation. N Engl J Med 2002; 347: 1825-33
3. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=179
4. Van Gelder IC et al., the RACE II Investigators. Lenient versus strict rate control in patients with atrial fibrillation. N Engl J Med 2010; 362: 1363-73
http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=4999





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