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Voglia di pensione: il "contratto emotivo"
Pubblicato da dzamperini in data 19/02/2009 00:00
Archivio storico
Viviamo in un' epoca di frustrazione e di preoccupazione per il futuro. Un' epoca di scontento. Innumerevoli sono i medici che vivono contando i giorni che li separano dal pensionamento, ormai dimentichi dell' entusiasmo che li aveva animati all' inizio della professione.
Perche' questo disamore per una professione che, tutto sommato, offre ancora innumerevoli soddisfazioni? Probabilmente perche' e' stato rotto il "contratto emotivo" stipulato agli inizi (Guido Zamperini - 2006)



Perche’ tanti lavoratori, soprattutto quelli di mezza eta’, si sentono tanto attratti dall’ idea del pensionamento?
Perche’ solo importanti incentivi economici riscono a contrastare questa straripante tendenza?
E’ probabile che cio' abbia una causa ben precisa: la modificazione di un contratto " in corso d' opera".

Diversi studiosi hanno ipotizzato che ogni persona, quando effettua il suo ingresso in una attivita' lavorativa, firmi DUE contratti: il contratto lavorativo vero e proprio (cartaceo) e un "contratto emotivo", interiore, che dice piu' o meno "io, nel lavoro, faro' questa e quest' altra cosa e ne ricevero' questo compenso, economico e morale".

Quando il contratto "cartaceo" viene modificato troppo radicalmente, esso viene a non coincidere piu' col contratto "emotivo" stipulato all' inizio, e l' interessato viene a trovarsi in una situazione di profondo disagio, fuori posto, frustrato.
Di qui l' insofferenza, la voglia di fuga, l' instaurarsi di meccanismi perversi negli anziani; i giovani spesso non comprendono questi atteggiamenti perche' il loro contratto emotivo e' invece piu' recente e quindi piu’ aderente alle situazioni vigenti.
Per evitare questi contraccolpi emotivi, bisognerebbe che i cambiamenti siano progressivi (non improvvisi), mediati e condivisi, in modo da permettere una riformulazione e un riadattamento del contratto emotivo piu' aderente al momento vigente.
Tale situazione viene vissuta in modo particolarmente intenso da alcune categorie professionali che hanno visto il loro ruolo sociale fortemente mutato e spesso penalizzato, come e’ avvenuto per la categoria medica.

Per fare un esempio attinente appunto a tale categoria, si puo’ risalire agli anni ’70, allorche’ si diede applicazione alla Riforma Sanitaria che ridisegnava tutto il ruolo della Sanita’ Pubblica e dei suoi componenti, con una totale rivoluzione della situazione: massimale di assistiti, passaggio dalla notula alla quota capitaria, e cosi’ via.
Eppure non vi furono eccessivi dissensi perche' la situazione era abbastanza deteriorata, la quota capitaria era gia' vigente in gran parte dell' Italia, il cambiamento era stato lungamente preparato a livello sindacale e politico, la transizione venne calibrata con un beneficio economico e organizzativo (guardia medica, con possibilita' di riposo settimanale) ecc.

I cambiamenti intervenuti in questi ultimi anni e ancora in continua evoluzione, invece, sono stati eccessivamente rapidi, non mediati a livello delle componenti di base ma quasi imposti dall' alto, vissuti come interessi personali di questa o quella minoranza, come obblighi sgraditi e non liberamente scelti, come totale rivoluzione del contratto emotivo stipulato all' inizio: "io faro' il medico di famiglia per curare la gente, instaurando un rapporto di confidenza e fiducia, ricevendone gratitudine e riconoscimento morale e sociale, e un buon compenso economico".

Ora il fatto di doversi associare piu' o meno per forza, di sentirsi intercambiabili, di avvertire il cedimento di quel rapporto medico-paziente, di sentirsi economicamente e legalmente "fragili" ha rotto la corrispondenza tra i due contratti.

Di qui la frustrazione di molti anziani; di qui la spaccatura interna della categoria, perche' una parte (i piu' giovani) non capisce i motivi dello scontento e si adegua a cio' che appare una situazione normalissima. Il “loro” contratto emotivo appare adeguato alla situazione…

Va considerata anche la rigidezza dei rapporti lavorativi nel nostro Paese che non permette, nella maggioranza dei casi, un cambio di attivita’ che consentirebbe una riformulazione dei contratti e un adeguamento alla mutata situazione. L’ unica possibilita’ di fuga, a quel punto, appare quella del pensionamento, con eventuale “riciclaggio” verso un’ attivita’ privata magari meno redditizia ma certamente diversa.

Tutto cio’ e' la conseguenza di una situazione generale, e non prerogativa della sola classe medica; le categorie dei “care givers” pero’, in quanto piu’ impegnate emotivamente nel rapporto con i pazienti-utenti, sono maggiormente soggetti alla frustrazione e alla sofferenza derivanti dal logoramento e dalla rivalutazione di questo rapporto.

 
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