L’ introduzione al problema, a volte molto sentito, puo’ essere scaricato dal sito http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=8383
Esistono molte definizioni di cattive notizie, ad esempio per JT Ptacek sono “situazioni nelle quali vi è una sensazione di assenza di speranza, una minaccia al benessere mentale o fisico di una persona, un rischio di sconvolgimento di uno stile di vita consolidato, o comunque un messaggio che conferisce a un individuo una minor possibilità di scelta nella vita”. In generale, le cattive notizie hanno in comune la capacità potenziale di modificare in modo drastico e negativo la visione del paziente circa il proprio futuro, di limitarne le possibilità, in misura maggiore quanto più grande è la distanza tra le sue aspettative, percezioni, progetti (realtà soggettiva) e la situazione reale (realtà oggettiva). Compito fondamentale del curante è di rendere meno traumatico il passaggio tra le due realtà, modulandone la velocità di transizione, secondo il “ritmo del paziente”.
Quello di essere informato è peraltro un diritto primario del paziente, per riorganizzare la propria vita, dare il consenso alle cure, provvedere agli interessi morali ed economici propri e della famiglia. Numerosi studi hanno rilevato che i pazienti vogliono essere informati su diagnosi, terapia e prognosi, con modalità più professionali rispetto alla prassi abituale. L’articolo 30 del codice deontologico peraltro tutela espressamente il rispetto della documentata volontà dell’assistito di non essere informato o di delegare ad un altro soggetto l’informazione. Gli effetti e la portata devono essere dilazionati e circoscritti, in modo da lasciare spazio ad altre autonome e competitive costruzioni del paziente che, anche se deboli sul piano scientifico e giudicabili a volte irrazionali, sono in realtà spesso utili come strategie di coping.
Può anche accadere che venga percepita come cattiva una notizia che per il medico non è tale, e viceversa, infatti la cattiva notizia non esiste necessariamente in quanto tale, ma, come per tutte le informazioni, il suo significato operativo è determinato dalla valutazione soggettiva del ricevente.
I principali obiettivi della comunicazione sono la riduzione della sensazione del paziente di essere solo contro la malattia, il tentativo di convincerlo che ha accanto un professionista che saprà aiutarlo, senza minimizzare la reale situazione clinica o nascondersi dietro formule evasive e oscure. È infatti fondamentale mettere il paziente nelle migliori condizioni per esprimere un parere sulle scelte da compiere, cercando di limitarne le componenti stressanti. Il piano di assistenza, idealmente concordato tra curante e specialista, dovrebbe essere anticipato al malato a grandi linee e formulato presentando le effettive possibilità terapeutiche, il rapporto tra rischi e benefici e le incertezze, inevitabili nella pratica della medicina. Si deve tenere presente che i pazienti in generale non ricordano più della metà di quanto viene detto loro, percentuale ancora più bassa quando ricevono una cattiva notizia. Può quindi essere opportuno, sia durante il colloquio sia al termine, ripercorrere brevemente il percorso informativo, identificando i problemi prioritari per il paziente, ai quali fornire risposte adeguate. Deve essere sempre inserito nel colloquio qualche elemento di speranza, anche tenendo conto degli oggettivi limiti predittivi del singolo caso.
Quando le prospettive realistiche di benessere sono oggettivamente difficili o poco credibili, si deve comunque assicurare ogni sforzo per garantire un buon controllo della sofferenza. Alla conclusione dell’incontro è utile che il paziente esca con un altro appuntamento a breve scadenza.
Le reazioni del paziente, altamente variabili per tipologia e intensità, devono essere comprese, l’emotività espressa liberamente e legittimata, in quanto strumento per favorire l’adattamento alla condizione di malattia. Meccanismi reattivi quali negazione, proiezione, rabbia possono attivarsi e tradursi in atteggiamenti aggressivi nei confronti del medico, che deve evitare risposte accusatrici o colpevolizzanti. Si devono identificare con attenzione i comportamenti non adattivi e regressivi e intervenire, talvolta mediante la semplice attesa, per agevolare il ripristino di un favorevole equilibrio. In alcuni casi è necessario accettare il modello di malattia che il paziente costruisce nella sua fantasia, le fantasie di fuga dalla realtà. Talvolta è necessario trattare sintomi psichici, spesso sottovalutati in quanto considerati risposte fisiologiche.
Anche le reazioni del medico possono essere molteplici, di colpa (“se l’avessi convinto a fare quel test da sforzo...”), impotenza (“non c’è più niente da fare…”), fallimento personale (“Non ho saputo trovare le parole giuste”), timore di conseguenze legali, dispiacere sul piano dei rapporti umani… I vissuti personali del medico possono associarsi a pensieri, emozioni condivise con il paziente, alla riattivazione di memorie sopite. Mettersi a confronto con i propri sentimenti, le proprie paure, può servire a conoscere meglio il proprio modo di agire e quindi a modificarlo, per trovare le giuste distanze e costruire relazioni terapeutiche più partecipi. La non considerazione dei propri vissuti personali può indicare un utilizzo inconsapevole di meccanismi di difesa, con possibili distorsioni nella percezione della relazione che, a lungo termine, possono contribuire allo sviluppo di fenomeni di “burn out” da assuefazione affettiva. Principali errori nella comunicazione delle cattive notizie (modificato da Tuveri) non avere a disposizione un tempo adeguato; non lasciare spazio alle eventuali domande del paziente o dei familiari; non favorire l’espressione delle emozioni; dare false rassicurazioni o speranze irrealistiche; togliere la speranza, spesso inconsapevolmente, con messaggi non verbali; dare le informazioni secondo le priorità del medico e non del paziente.
Conclusioni Comunicare cattive notizie può anche essere, in teoria, piuttosto semplice: “ Mi spiace molto ma lei ha un cancro nel… I rischi dell’intervento superano i benefici attesi. Ho preparato una relazione per i colleghi del servizio di cure palliative che sono molto preparati e le prescriveranno i farmaci più idonei. Le abbiamo prenotato la visita il giorno… alle ore… Ora ci scusi ma purtroppo abbiamo ancora molti pazienti da vedere…”
Prendersi cura del paziente anche nella cattiva sorte è difficile ed a volte doloroso e richiede non solo preparazione medica ma una comprensione intellettiva ed una parziale condivisione emozionale che ci permettono di usare il linguaggio più adeguato a quella persona di quella famiglia in quel preciso momento della sua vita; dal punto di vista della tecnica comunicativa anzitutto significa “pesare” con attenzione la quantità e qualità di informazione da fornire al paziente, utilizzando un linguaggio comprensibile ed un approccio interattivo, per ottenere una conoscenza condivisa del problema e una partecipazione adeguata e responsabile da parte del paziente, necessari per conseguire i migliori risultati possibili. I medici che svolgeranno tale compito in maniera sbrigativa e superficiale non saranno mai perdonati, i medici che lo svolgeranno con onesto impegno non saranno mai dimenticati…
Tratto da : “Guida alla professione medica” Autori: Giampaolo Collecchia, Riccardo De Gobbi, Roberto Fassina, Giuseppe Ressa, Renato Luigi Rossi, Daniele Zamperini
http://ilmiolibro.kataweb.it/libro/medicina-e-salute/666455/guida-alla-professione-di-medico/
Rielaborato da Riccardo De Gobbi
Bibliografia
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