Se il tumore, anche con prognosi negativa, se diagnosticato e curato in tempo avrebbe permesso una maggior sopravvivenza e in condizioni generali migliori, mentre e’ stato diagnosticato in ritardo, la responsabilita’ sanitaria e’ palese. (Cass.16874/2022)
I fatti: Una donna chiamava in giudizio il medico e l’ ospedale chiedendo il risarcimento dei danni sofferti a seguito di un colposo ritardo diagnostico. Recatasi dalla ginecologa per una visita, pur emergendo dall’ ecografia una patologia neoplastica, il medico non prescriveva ulteriori accertamenti clinici. Nel corso della causa l’ attrice veniva a mancare, mentre l’ ospedale veniva messo in amministrazione straordinaria, per cui gli eredi continuavano il procedimento unicamente a carico della dottoressa.
Le corti di merito (in primo e in secondo grado) condannavano la ginecologa al risarcimento dei danni. In particolare la Corte d’Appello confermva la condanna sulla base della CTU di primo grado, non ritenendo di doverne disporre la reiterazione.
La ginecologa ricorreva in Cassazione lamentando il mancato rinnovo della CTU. Sosteneva, nel merito, che dalle ecografie non risultava in realtà che la patologia tumorale fosse così avanzata, cosa che poteva essere rilevata da una nuova CTU.
La Corte respingeva il ricorso ritenendo corrette le conclusioni della CTU, che non necessitava un rinnovo in quanto aveva esaminato la questione dando atto che se nel maggio 2006 il tumore era allo stadio IIIc, al momento della visita della dottoressa, tenutasi nel gennaio 2006, lo stesso doveva comunque trovarsi già al II stadio.
Una diagnosi precisa e tempestiva del tumore, a quel punto meno sviluppato ma già ben individuabile, poteva senza dubbio garantire un intervento tempestivo e quindi quanto meno una vita più lunga in condizioni migliori.
Il ritardo diagnostico costituiva quindi una indubbia responsabilita’ del sanitario, che ne doveva rispondere civilmente con un cospicuo risarcimento.
Daniele Zamperini
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