Scoliosi idiopatica: vecchi e nuovi concetti, caso clinico. Intento di questo lavoro è cercare di apportare un contributo di chiarezza, seppur per forza di cose parziale, alla problematica della scoliosi idiopatica e delle alterazioni rachidee e posturali in generale, in base alle recenti acquisizioni biomeccaniche e biochimiche. Giovanni Chetta
La scoliosi colpisce circa il 3% della popolazione con prevalenza femminile (5:1) e nel periodo infantile-adolescenziale (oltre l’80%). Nella maggior parte dei casi essa insorge all’inizio dello sviluppo puberale e tende a evolvere fino alla maturazione ossea. Nelle scoliosi importanti però l’evolutività può persistere anche se in maniera molto lenta. La scoliosi di norma non provoca dolori se non nell’adulto qualora si arrivasse a un importante grado di deformazione rachidea in grado di comportare, in alcuni casi, anche rilevanti disfunzioni organiche quali quelle cardio-respiratorie. La scoliosi risulta grave in meno dello 0,5 per mille dei casi. Va subito detto che, nonostante i numerosi gruppi di studio sulla scoliosi, vi sono ancora notevoli zone d’ombra riguardo la problematica scoliotica; basti pensare che nell’80-85% dei casi la scoliosi si definisce idiopatica. Ciò si riflette, per forza di cose, in definizioni e classificazioni perlomeno “dai contorni poco definiti” e con conseguenti programmi e indicazioni rieducative spesso, almeno in parte, senza reali comprovati fondamenti scientifici. La stessa differenziazione tra scoliosi strutturale (dismorfismo) e atteggiamento scoliotico (paramorfismo) può spesso rappresentare una diagnosi e quindi una prognosi poco specifica e comportante di conseguenza a trattamenti rieducativi poco efficaci. Occorre infatti considerare che il tessuto osseo, facendo parte della grande famiglia dei tessuti connettivi, ne presenta una specifica peculiarità: la viscoelasticità. Come dimostrato da J. Wolff già nel lontano 1892 con la sua legge, la deformazione ossea avviene nelle direzioni e in base agli stimoli meccanici (spinte e/o trazioni) che subisce in maniera preponderante (sia sotto l’aspetto quantitativo che temporale).
Di frequente la scoliosi viene individuata casualmente per la sua evidenza estetica o per mezzo di esami strumentali eseguiti per altri motivi. Il soggetto di norma viene esaminato in maniera statica e dinamica evidenziando i segni caratteristici di questa problematica (diseguaglianza dei due triangoli della taglia, disallineamento spalle, inclinazione del bacino ecc.).
Quando l’esame visivo evidenzia l’esistenza della scoliosi, viene eseguito un approfondimento perlopiù tramite radiografie che consentono un’analisi strutturale delle vertebre e il calcolo dell’angolo di Cobb. Quest’ultimo rappresenta il “gold standard” anche se in realtà la sua valenza clinica deriva in primo luogo più dalla diffusione che per predittività e precisione. Se per la valutazione strutturale la radiografia resta indispensabile, per quanto riguarda l’esame morfologico del rachide oggi esistono tecnologie più complete (3D), precise e senza alcun effetto collaterale (vantaggio di vitale importanza), quali la rasterstereografia.
La previsione clinica sull’evoluzione futura della scoliosi si basa su diversi fattori di cui i principali sono: maturazione ossea (test di Risser), età, menarca, sede, entità della rotazione vertebrale trasversale e delle convessità/concavità sul piano frontale.
Il trattamento della scoliosi lieve (fino a ca. 40 gradi Cobb) prevede una terapia non cruenta basata classicamente sulla chinesiterapia e, per le situazioni più gravi (Cobb >20°), sull’utilizzo del corsetto. Fine dichiarato del trattamento incruento classico è fermare o rallentare l'evoluzione della curva scoliotica. Nonostante tali corsetti impediscano flessione, piegamenti laterali e rotazioni del tronco, i loro sostenitori dichiarano che l’adolescente può condurre una vita praticamente normale spingendoli in taluni casi a svolgere sport alquanto complessi dal punto di vista motorio.
Il ricorso al trattamento cruento (fissazione chirurgica) della scoliosi idiopatica può essere consigliato (seppur esistano a riguardo molti pareri controversi) in presenza di una scoliosi con alta probabilità di importante evolutività e di grado Cobb molto elevato (non inferiore a 40-45°). In seguito a tale intervento chirurgico si ha la perdita permanente dei movimenti rachidei. Non si può pensare di comprendere, almeno in parte, la problematica scoliotica (e posturale) senza una sufficiente conoscenza della biomeccanica umana e, a sua volta, non si può comprendere la biomeccanica senza passare dalla biochimica, dalla fisica e dalla matematica. Ogni cellula del corpo interagisce costantemente con la Matrice Extracellulare (MEC), sia sotto l'aspetto meccanico che chimico ed energetico, con effetti “drammatici” sull’architettura statica e dinamica dei tessuti. Il tessuto connettivo è parte integrante della MEC. Esso non presenta soluzioni di continuità: ogni tessuto e organo contiene tessuto connettivo e le loro funzioni dipendono in maniera straordinaria dalle interconnessioni anatomo-funzionali. Il tessuto connettivo è in realtà un sistema con innumerevoli fondamentali funzioni. A partire dal citoscheletro, l'organismo umano è caratterizzato da una struttura di tensegrità. A livello macroscopico gli assi rigidi (le barre) sono costituiti dalle ossa e le strutture flessibili (i cavi) dal sistema miofasciale. Peculiarità unica della “tensegrità umana” è quella di funzionare come sistema a “eliche a passo variabile” o vortici (spirali). E' infatti sul piano trasverso che soprattutto si sviluppa l'antigravitarietà del sistema cibernetico uomo grazie a un sofisticato sistema di equilibrio neuro-biomeccanico. A livello del piede le rotazioni sul piano trasverso si trasferiscono su quello frontale consentendo all’uomo di svolgere al meglio la sua attività primaria: camminare su due piedi nel campo gravitazionale su un terreno naturalmente sconnesso. L'atteggiamento scoliotico dell'elica rachidea rappresenta quindi un fenomeno fisiologico transitori tra loro connessi e divengono patologici solo quando si manifestano in maniera stabile.
Diviene pertanto possibile sfatare alcuni miti:
a) Dopo una certa èta non si può (o non si deve) più modificare la scoliosi (e la postura). Siamo una “funzione strutturante”, neuro-biomeccanicamente oscillante vorticosamente, in equilibrio dinamico, tra tessuto connettivo e muscoli in continua evoluzione in base agli stimoli chimico-fisici ricevuti; in realtà non si può non cambiare.
b) Oltre un certo grado di scoliosi, il corsetto rigido è indispensabile. La non corretta funzionalità delle rotazioni sul piano trasverso ostacola in maniera rilevante il raggiungimento dell’obiettivo istintivo più importante e fisiologico dell’uomo: il moto specifico. Occorre pertanto pensare a una nuova generazione di corsetti in grado di eseguire una correzione sul piano frontale conservando la libertà di movimento sul piano trasverso.
c) Col busto rigido è possibile compiere attività sportive. Il blocco delle rotazioni rachidee sul piano trasverso imposto dal busto rigido implica compensi di sovraccarico sulle cerniere libere dal “giogo” del busto e impedisce, come detto, il fisiologico movimento.
d) Occorre eseguire esercizi di rinforzo della muscolatura paravertebrale ed evitare esercizi (e sport) che aumentino la mobilità vertebrale. La coordinazione motoria si dimostra in realtà più importante della struttura e della perfetta simmetria dei segmenti corporei. L’obiettivo non è bloccare ma normalizzare il sistema miofasciale-scheletrico e rieducare la propriocezione e la coordinazione motoria.
e) Plantari e Bite non hanno alcuna influenza sulla scoliosi. Questo sarebbe plausibile se fossimo una struttura a compressione (come una colonna); in realtà rappresentiamo una struttura di tensegrità dove ogni parte risulta connessa col tutto dal livello microscopico a quello macroscopico. Il posizionamento nello spazio di piedi (unico punto di contatto col suolo) e testa (unità periferica più pesante e più distante dal suolo) li rende elementi strategici riguardo la collocazione di tutti i segmenti corporei in ortostatismo sia dal punto di vista meccanico sia neurologico. Ragioni queste già sufficienti per dover considerare appoggio podalico e appoggio occlusale in un’alterazione rachidea e della postura in genere. Ancor più ciò diviene indispensabile in una società “moderna” dove habitat e stili di vista contrastano con la natura.
f) RX, scolosiometro e angolo di Cobb sono gli unici esami, strumenti e parametri per definire una scoliosi. Essi presentano in realtà grossi limiti e oggi è possibile utilizzare tecnologie e parametri diversi (quali la rasterstereografia e i relativi indici). I raggi X restano indispensabili per la valutazione strutturale vertebrale e ossea in generale.
La scoliosi è certamente l’alterazione rachidea a maggior impatto estetico negativo. Le alterazioni rachidee che si sviluppano principalmente sul piano sagittale (ipercifosi dorsale, dorso piatto e iperlordosi lombare) possono comportare problematiche muscolo-scheletriche e organiche più rilevanti della scoliosi. In ogni caso, in presenza di alterazione patologica del rachide e della postura, l'interconnessione e l'interdipendenza delle varie parti del nostro corpo "impone" una strategia integrata e quindi un lavoro d'equipe in grado di considerare i diversi relativi fattori critici. Controllo e funzionalità delle cerniere articolari, e in particolare di occlusione, supporto plantare e bacino, si confermano i parametri critici. Tali parametri vanno sempre verificati (in maniera precisa e quantificabile ossia confrontabile nel tempo) a prescindere dall’approccio utilizzato nella rieducazione posturale. Considerare infatti i risultati ottenuti solo in una specifica regione corporea (es. apparato stomatognatico o appoggio podalico o rachide) senza esaminarne gli effetti sull’intera postura, comporta il rischio di spostare la problematica in un’altra regione corporea. Appare pertanto evidente l'importanza dell'approfondimento della ricerca e sperimentazione in tale direzione. La posturologia risulta, per forza di cose, una scienza multidisciplinare che abbraccia numerose branche della medicina e della tecnica. La collaborazione professionale tra i vari specialisti, l’evoluzione tecnologica, l'avanzamento delle ricerche scientifiche su matrice extracellulare, tessuti connettivi, neurologia, biomeccanica ed ergonomia, rappresentano i cardini del progresso di questa affascinante scienza fondamentale per la salute dell’uomo moderno. Giovanni Chetta Settembre 2013 |