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La vitamina D: a chi e quando?
Pubblicato da dzamperini in data 10/04/2019 00:00
Medicina Clinica



 La vitamina D, prezzemolo utile per molte pietanze o zafferano adatto a specifici piatti? Un documento di consensus dell’AME ( Associazione Medici Endocrinologi) può aiutare i Medici nel cucinare ricette sapide e rodate.



La vitamina D: a chi e quando?  
 Inserito il 26 agosto 2018 alle 06:28:00 da admin. IT - reumatologia

 La vitamina D, prezzemolo utile per molte pietanze o zafferano adatto a specifici piatti? Un documento di consensus dell’AME ( Associazione Medici Endocrinologi) può aiutare i Medici nel cucinare ricette sapide e rodate.


 La vitamina D rappresenta uno dei nutrienti essenziali per lo stato di salute. Oltre alla sua nota attività nella regolazione del metabolismo del calcio, lsvolge un importante ruolo nell’influenzare la proliferazione e la differenziazione cellulare. Vari studi (1,2,3) hanno dimostrato che un deficit di vitamina D è associato non solo a disfunzioni del metabolismo dell’osso, ma anche a patologie cardiovascolari, diabete, malattie autoimmuni, disordini neuropsichiatrici, malattie infettive e tumorali. Si è cominciato a parlare di attività extra ossee della vitamina D dopo la scoperta che le cellule della maggioranza dei tessuti dispongono di un recettore per questa vitamina e che gran parte di esse possiede anche gli enzimi per convertirne la forma circolante inattiva nella sua forma attiva. Si è ipotizzato, pertanto, un possibile ruolo della vitamina D nel ridurre il rischio di alcune malattie croniche, oncologiche, autoimmunitarie e infettive. L’entità di questo possibile rischio viene incrementata dal fatto che molte persone vi sarebbero esposte, considerato che il livello non ottimale di vitamina D spesso registrato nella popolazione. Così oggi, le confezioni di questa vitamina sono tra i farmaci più prescritti, tanto da richiamare l’attenzione degli organismi regionali regolatori verso possibili inappropriatezze. Si sentiva, quindi, il bisogno di un documento di consensus, come quello preparato da un gruppo di esperti dell’Associazione Medici Endocrinologici (4), che facesse chiarezza sulla questione in un’ottica EBM. 

Vediamone i punti essenziali. 

Gli esperti del gruppo di lavoro sottolineano, innanzitutto che l'attuale limite di 30 ng/dl che definisce un'insufficienza di vitamina D non è adeguato Tale limite andrebbe ridimensionato, soprattutto in assenza di forti evidenze scientifiche, anche perché il cut off di 30 ng/dl finisce per identificare "carenti di Vitamina D" tanti soggetti che poi probabilmente non lo sono. Per questo nella consensus gli endocrinologi hanno definito ridotti i valori di vitamina D quando essi sono chiaramente al di sotto di 20 ng/dl.

 I ricercatori chiariscono poi che, nonostante alcuni dati sembrino collegare la carenza di vitamina D a malattie diverse da quelle osteoporotiche, non si conoscono i dosaggi necessari di integrazione per ridurre l'incidenza di tali patologie, ed è quindi bene procedere con cautela per evitare prescrizioni di fatto inutili. 

Inoltre, il documento ricorda che la prevenzione dell'ipovitaminosi D passa attraverso uno stile di vita corretto, cioè un'adeguata esposizione alla luce del sole ed una dieta bilanciata. Tuttavia, con l'invecchiamento l'efficienza dei meccanismi biosintetici cutanei tende a ridursi e perciò è più difficile per le persone anziane produrre adeguate quantità di vitamina D con l'esposizione alla luce solare. Quindi, nei pazienti con osteomalacia o osteoporosi, negli anziani soprattutto quelli più esposti alle cadute, nei soggetti che per forza di cose non possono esporsi in maniera adeguata alla luce solare, il trattamento con l'integrazione di vitamina D va considerato. Una valida alternativa potrebbero essere le politiche di “fortificazione” dei cibi con vitamina D, come avviene nei paesi dell'area scandinava, dove la radiazione solare è naturalmente meno ricca di raggi UVB. Queste politiche potrebbero essere utili anche nel nostro paese del sole dal momento che la luce del sole italiano non contiene una radiazione UVB sufficiente a far produrre vitamina D nella cute per molti mesi all'anno (autunno e inverno). 

Infine, il documento definisce alcuni paletti terapeutici. La forma inattiva della vitamina D, il colecalciferolo, la più utilizzata, viene solitamente prescritta sotto forma di gocce o flaconcini da assumere o giornalmente o in assunzione mono-settimanale o a più lunga scadenza (mensile o anche bimensile)  e deve essere attivata prima nel fegato e poi nel rene. Altre molecole, come il calcifediolo, sono già parzialmente attive al momento dell'assunzione e generalmente non causano particolari effetti indesiderati. I metaboliti del tutto attivi sono invece utilizzati solo in pazienti con insufficienza renale o carenza di ormone paratiroideo, e possono causare un aumento del rischio di ipercalcemia.


Enzo Pirrotta


Bibliografia

1.Gatti D Vitamin D: not just bone, but also immunity. Minerva Med 2016;107(6):452-60.

2.Hall SC Vitamin D and bronchial asthma: an overview of data from the past 5 years. Clin Ther 2017;39(5):917-29.

3.Hewison M. Vitamin D and innate and adaptive immunity. Vitam Horm 2011;86:23-62.

4.Nutrients 2018. doi:10.3390/nu10050546
http://www.mdpi.com/2072-6643/10/5/546

 
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