Tra delusioni e speranze una breve rassegna sui trattamenti attualmente allo studio per il SARS-CoV 2.
La pandemia da SARS-CoV 2 attualmente in corso mette a dura prova i sistemi sanitari e in tutto il mondo sono in corso molti studi per trovare un trattamento efficace.
In questa pillola ne passeremo in rassegna alcuni, senza la pretesa di essere esaustivi.
Uno studio cinese recentemente pubblicato [1] di tipo randomizzato e controllato in aperto ha arruolato 199 pazienti adulti ricoverati per infezione da SARS-CoV 2 con insufficienza respiratoria con saturazione di ossigeno uguale o inferiore al 94%. I partecipanti sono stati randomizzati a ricevere l'associazione lopinavir-ritonavir (2 volte al giorno per 14 giorni), normalmente usata per trattare l'infezione da HIV, oppure cura usuale. L'endpoint primario era il tempo di miglioramento clinico. Purtroppo lo studio non ha dato risultati positivi in quanto non si è osservato alcun beneficio nel gruppo trattato con lopinavir-ritonavir. La mortalità a 28 giorni (endpoint secondario) era del 19% nel gruppo trattato e del 25% nel gruppo controllo, ma la differenza non era statisticamente significativa. Non si può escludere, però, che l'associazione possa essere utile se usata in pazienti meno compromessi e/o in soggetti diagnosticati all'inizio dell'infezione con sintomi lievi oppure ancora senza sintomi.
Un farmaco che sembrerebbe promettente è il remdesevir, che era stato usato nel virus Ebola con risultati negativi. In modelli animali si è dimostrato efficace contro il coronavirus della MERS. Si tratta di un farmaco che in vitro si è dimostrato attivo contro vari virus ad RNA, compresi diversi coronavirus. Il farmaco agisce inibendo la RNA polimerasi che sintetizza l'RNA virale. In uno studio si è testata l'attività in vitro anti SARS-CoV 2 di cinque farmaci (ribavirina, penciclovir, nitazoxanide, nafamostat e clorochina) e due antivirali a largo spettro (remdesevir e favipiravir). I due farmaci che si sono dimostrati più efficaci nel bloccare la replicazione del virus anche a basse concentrazioni sono stati il remdesevir e la clorochina [2].
La clochina e il suo derivato idrossiclorochina sono farmaci da lungo tempo usati per la malaria. Tuttavia possiedono una buona attività antiflogistica per cui vengono trattati anche pazienti affetti da malattie infiammatorie croniche. Il suo eventuale meccanismo d'azione contro il coronavirus non è ben compreso. Si pensa che possa bloccare il recettore ACE 2 (Angiotensin Converting Enzyme 2) che il virus usa per entrare nelle cellule. Sembra essere efficace in vitro [2]. A Marsiglia è stata testata su 24 pazienti ottenendo una guarigione dal virus nel 75% dei casi. Si tratta, però, solo di una comunicazione del dottor Didier Raoult, infettivologo direttore dell'ospedale Universitario Mediterranée Infection di Marsiglia e non esistono per il momento studi pubblicati.
Il favipiravir è autorizzato per ora solo in Giappone per il trattamento di forme gravi di influenza in cui si siano dimostrati inefficaci gli altri antivirali. Per il momento non esistono studi clinici pubblicati sul suo utilizzo nella infezione da SARS-CoV 2, come fa notare il sito dell'AIFA. Esiste però uno studio effettuato in Giappone (non ancora sottoposto al vaglio internazionale e ad analisi critica) in cui il farmaco è stato paragonato alla associazione lopinavir-ritonavir in soggetti con forme non gravi di malattia. Sembra che il favipiravir sia in grado di accelerare la clearance del virus e di migliorare il quadro radiologico.
Il tocilizumab è un anticorpo monoclonale dotato di una potente attività antinfiammatoria e viene usato principalmente per il trattamento dell'artrite reumatoide. Si tratta di un inibitore dell'interleuchina 6, un mediatore dei processi flogistici. Non è quindi un farmaco dotato, per quanto se ne sa, di attività antivirale. Il razionale per il suo uso nella infezione da SARS-CoV 2 è di ridurre la risposta infiammatoria dell'organismo al virus. Infatti il coronavirus può provocare una grave polmonite interstiziale in cui si ha una esagerata risposta infiammatoria a livello polmonare che finisce per aggravare il quadro clinico. Non esistono al momento studi pubblicati, ma il faraco si sta usando come terapia emergenziale in vari ospedali, anche italiani.
Il camostat mesilato è un inibitore delle proteasi ed è usato nel trattamento della pancreatite. Uno studio suggerisce che l'entrata del virus nelle cellule potrebbe essere bloccata da vari inbitori delle proteasi [3], di qui la poposta di poterlo usare nell'infezione da SARS-CoV 2.
Come si può facilmente vedere si tratta di conoscenze per il momento limitate e incomplete ed il lavoro è ancora in progress. In una situazione emergenziale come appare sempre più quella scatenata dal coronavirus le regole classiche degli studi clinici randomizzati e controllati, con adeguata potenza statistica, sembrano inadeguate. Il parere di chi scrive, da sempre sostenitore della rigorosità della Evidence Based Medicine, è che in casi del genere si debba adottare molta flessibilità e bene sta facendo l'AIFA ad autorizzare l'uso e la sperimentazione di farmaci su cui non esistono al momento dati certi. Si tratta di un uso empirico in assenza di studi clinici rigorosi giustificata da condizioni straordinarie.
Renato Rossi
Bibliografia
1. Cao B et al. A Trial of Lopinavir-ritonavir in Adults Hospitalized with Severe Covid-19. N Engl J Med. Pubblicato online il 18 marzo 2020.
2. Wang M et al. Remdesevir e Chloroquine effectly inhibit the recently emerged novel coronavirus (2019-nCoV) in vitro. Cell Research 30, 269-271. Pubblicato online 4 febbraio 2020.
3. Hoffman M et al. SARS-Cov 2 Cell Entry Depends on ACE2 and TMPRSS2 and Is Blocked by Clinically Proven Protease Inhibitor. Cell 2020; 181:1-10.
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