Due trial randomizzati hanno valutato l’efficacia della terapia anticoagulante nei pazienti con episodi subclinici di fibrillazione atriale svelati da dispositivi impiantabili.
La disponibilità di dispositivi cardiaci impiantabili (per esempio pacemaker o defibrillatori) ha permesso di evidenziare che esistono casi di fibrillazione atriale di durata variabile (di solito breve) del tutto asintomatici. Si tratta di soggetti che, di base, non presentano una fibrillazione atriale alla registrazione elettrocardiografica tradizionale. Per stabilire se in questi casi sia utile o meno una terapia anticoagulante è stato effettuato lo studio denominato NOAH-AFNET [1] in cui sono stati reclutati 2536 soggetti con fibrillazione atriale subclinica randomizzati ad edoxaban oppure placebo. L’età media dei partecipanti era di 78 anni e la durata media degli episodi di fibrillazione atriale di 2,8 ore.
L’endpoint primario dello studio era composto da morte da causa cardiovascolare, ictus o embolismo sistemico.
Dopo un follow-up medio di 21 mesi lo studio è stato interrotto: l’endpoint primario si era verificato nel 3,2% del gruppo trattato e nel 4% del gruppo placebo (differenza non significativa, p = 0,15). In entrambi i gruppi l’incidenza di ictus era di circa l’1% per paziente-anno. Un endpoint composto ca mortalità totale e da emorragie maggiori si ebbe nel 5,9% del gruppo edoxaban e nel 4,5% del gruppo placebo (HR 1,31; 95%CI 1,02 – 1,67). Una fibrillazione atriale classica si sviluppò nel 18,2% dei pazienti arruolati.
Gli autori concludono che in soggetti con episodi asintomatici di fibrillazione l’edoxaban non riduce un endpoint composto da morte cardiovascolare, ictus o embolismo sistemico ma aumenta il rischio di morte o emorragia maggiore.
Lo studio ARTESIA [2] sono stati arruolati pazienti portatori di pacemaker o defibrillatore con fibrillazione atriale di durata compresa tra 6 minuti e 24 ore diagnosticata grazie al dispositivo impiantabile. Si tratta di 4012 soggetti randomizzati ad apixaban (2,5 o 5 mg x 2/die) oppure ASA (81 mg/die). Nei pazienti in cui la fibrillazione atriale durava più di 24 ore oppure si sviluppava una fibrillazione atriale clinica si procedeva ad una anticoagulazione. L’endpoint primario era composto da ictus o embolismo sistemico. Lo score CHA2DS2-VAS medio (comunemente usato per determinare la necessità dell’anticoagulante nei pazienti con fibrillazione atriale clinica) era di 3,9. Dopo un follow-up medio di 3,5 anni, l’endpoint primario si sviluppò in 55 pazienti del gruppo apixaban e in 86 del gruppo ASA (HR 0,63; 95%CI 0,45-0,88). Un’emorragia maggiore fu più frequente nel gruppo apixaban (HR 1,81; 95%CI 1,26-2,57).
Come si spiega la differenza tra i due trial? Probabilmente dipende dal diverso endpoint valutato. Nello studio primo studio questo endpoint comprendeva anche la mortalità cardiovascolare che non era invece considerata nel secondo. Una metanalisi ha assemblato i risultati dei due trial e ha concluso che vi sono evidenze di elevata qualità che l’anticoagulazione riduce il rischio di ictus ischemico del 32%. Evidenze di qualità moderata suggeriscono che l’anticoagulazione riduce anche il rischio di un endpoint composto da morte cardiovascolare, ictus da tutte le cause, embolismo periferico e polmonare e infarto miocardico del 15%. Non si ha invece una riduzione della mortalità totale e cardiovascolare. Per contro vi è un aumento delle emorragie maggiori del 62%.
Nonostante queste conclusioni rimane lecito chiedersi se l’anticoagulazione sia necessaria in tutti i pazienti con episodi subclinici di fibrillazione atriale di breve durata. Se si guardano sia i benefici che i rischi emorragici si potrebbe pensare che in realtà la decisione non è semplice. È pur vero che per esempio nello studio ARTESIA la maggior parte degli eventi emorragici è stata trattata con terapia conservativa mentre un ictus comporta non raramente esiti invalidanti: nell’ARTESIA su 55 ictus del gruppo apixaban 18 sono stati invalidanti mentre nel gruppo ASA quelli invalidanti sono stati 36 su 84 (33% versus 43%).
Lo studio osservazionale TRENDS [4] ha mostrato che il rischio di ictus aumentava quando un episodio di fibrillazione atriale asintomatico durava più di 5,5 ore. Per contro nello studio ASSERT [5] il rischio di ictus o embolismo sistemico aumentava significativamente quando l’episodio di fibrillazione atriale subclinica durava più di 24 ore, mentre non vi era differenza, rispetto a chi non aveva questi episodi, per durate comprese tra 6 minuti e 24 ore. Questi dati non permettono di trarre conclusioni definitive. Va considerato, per esempio, che secondo lo studio ARTESIA il rischio di ictus anche nel braccio ASA era basso (di poco superiore all’1% all’anno) e il numero di soggetti che è necessario trattare per evitare un ictus in 3,5 anni è di circa 60.
Nello scegliere se prescrivere o meno un anticoagulante in soggetti con episodi di fibrillazione atriale subclinica svelati tramite dispositivi impiantabili si dovrà, quindi, tener conto di vari parametri: durata e frequenza degli episodi, punteggio CHA2DS2-VAS e rischio emorragico del singolo paziente, preferenze del soggetto. In futuro altri studi permetteranno di elaborare algoritmi più precidi per decidere quali di questi pazienti traggono maggior benefico dalla terapia anticoagulante.
Renato Rossi
Bibliografia
1. Kirchhof P et al; NOAH-AFNET 6 Investigators. Anticoagulation with Edoxaban in Patients with Atrial High-Rate Episodes. N Engl J Med. 2023 Sep 28;389(13):1167-1179.
2. Healey JS et al.; ARTESIA Investigators. Apixaban for Stroke Prevention in Subclinical Atrial Fibrillation. N Engl J Med. 2023 Nov 12. doi: 10.1056/NEJMoa2310234. Epub ahead of print. PMID: 37952132.
3. McIntyre WF, Benz AP, Becher N, Healey JS, Granger CB, Rivard L, Camm AJ, Goette A, Zapf A, Alings M, Connolly SJ, Kirchhof P, Lopes RD. Direct Oral Anticoagulants for Stroke Prevention in Patients with Device-Detected Atrial Fibrillation: A Study-Level Meta-Analysis of the NOAH-AFNET 6 and ARTESiA Trials. Circulation. 2023 Nov 12. doi: 10.1161/CIRCULATIONAHA.123.067512. Epub ahead of print. PMID: 37952187.
4. Glotzer TV, Daoud EG, Wyse DG, Singer DE, Ezekowitz MD, Hilker C, Miller C, Qi D, Ziegler PD. The relationship between daily atrial tachyarrhythmia burden from implantable device diagnostics and stroke risk: the TRENDS study. Circ Arrhythm Electrophysiol. 2009 Oct;2(5):474-80.
5. Van Gelder IC et al. Duration of device-detected subclinical atrial fibrillation and occurrence of stroke in ASSERT.European Heart Journal, Volume 38, Issue 17, 1 May 2017, Pages 1339–1344, https://doi.org/10.1093/eurheartj/ehx042
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