L’American College of Cardiology in collaborazione con l’American Heart Association e altre Società Scientifiche statunitensi ha pubblicato le nuove linee guida sulla fibrillazione atriale [1].
Ne faremo una breve sintesi invitando il lettore a consultare il documento originale citato in bibliografia. Anzitutto è cambiata la classificazione. Nella versione precedente la FA era classificata come segue: • FA di prima diagnosi • FA parossistica: intermittente, dura < 7 giorni • FA persistente: continua per più di 7 giorni e richiede un intervento terapeutico • FA di lunga durata: che dura per più di 12 mesi • FA permanente: quando si ritiene di smettere ogni intervento per ripristinare il ritmo sinusale. La nuova classificazione prevede invece di distinguere l’aritmia così: • paziente a rischio di FA: presenza di fattori di rischio che possono essere non modificabili (età, sesso maschile, genetica) e modificabili (obesità, sedentarietà, ipertensione, diabete, abuso di alcol, OSAS) • pre – FA: presenza di alterazioni strutturali o elettriche che predispongono alla FA (ingrandimento atriale, frequenti ectopie atriali, brevi episodi di tachicardia atriale, flutter atriale) • FA: include la forma parossistica, persistente, di lunga durata e la FA sottoposta con successo all’ablazione); il paziente può passare da uno stadio all’altro • FA permanente.
Viene introdotto anche il termine di FA subclinica da usare quando l’aritmia non comporta sintomi, non vi sono precedenti ECG con FA e la diagnosi viene posta grazie a dispositivi impiantabili o indossabili.
Sono considerati datati e da non usare i seguenti termini: • FA cronica • FA valvolare e non valvolare (questa distinzione rimane oggetto di discussione e può confondere) • lone atrial fibrillation (questo termine era usato per identificare soggetti giovani con FA ma senza anomalie strutturali cardiache ritenuti a basso rischio di eventi tromboembolici).
Il secondo punto sottolineato dalle linee guida è la prevenzione, da ottenere con un corretto stile di vita e il trattamento dei fattori di rischio: obesità, abuso di alcol, fumo, diabete, ipertensione, sedentarietà, ecc. Il terzo punto da considerare è la stratificazione del paziente per quanto riguarda il rischio di ictus e di tromboembolismo sistemico per decidere se usare o meno l’anticoagulazione. A tal scopo si raccomanda di usare lo score CHA2DS2-VASc. Possono essere usati anche altri score illustrati in un’apposita tabella. Tuttavia nei pazienti a rischio intermedio (< 2% all’anno), nei quali vi può essere incertezza circa l’opportunità di usare l’anticoagulazione si dovranno considerare altri parametri come per esempio il cosiddetto burden (fardello) dell’aritmia (sintomi, durata, frequenza degli episodi), il sesso, il controllo della pressione arteriosa, la presenza di proteinuria o di una ridotta VFG. Deve essere determinato anche il rischio emorragico del paziente. Tuttavia se il rischio tromboembolico è elevato questa determinazione deve servire per attuare le misure idonee a ridurre il rischio di emorragia e non come mezzo isolato per decidere se usare o meno l’anticoagulazione.
Continua nella prossima pillola.
Renato Rossi
Bibliografia
1. 2023 ACC/AHA/ACCP/HRS Guideline for the Diagnosis and Management of Atrial Fibrillation. Journal of American College of Cardiology. 2023. Article in Press.
|