Dopo un episodio di TIA (Ischemia Cerebrale Transitoria) il rischio di infarto miocardio è particolamente elevato, soprattutto negli uomini con meno di 60 anni.
Gli autori di questo studio sono partiti dalla constatazione che, nei pazienti che hanno avuto un attacco ischemico cerebrale transitorio (TIA) nei 5-10 anni che seguono la principale causa di morte è la cardiopatia ischemica, che rende conto del 24-64% dei decessi contro il 12-28% dovuto all'ictus. Usando i dati del Rochester Epidemiology Project sono stati identificati i soggetti che avevano avuto un TIA tra il 1985 e il 1994; successivamente sono stati studiati gli abitanti di Olmstead Country che avevano avuto un infarto tra il 1979 e il 2006. In questa maniera è stato possibile costruire una coorte di pazienti che avevano avuto un infarto miocardico dopo un TIA in un periodo di tempo di 10-20 anni. Si è così potuto determinare che il rischio di infarto miocardico dopo un TIA è all'incirca il doppio rispetto a quello della popolazione generale (RR 2,09; 95%CI 1,52 - 2,81) e che questo rischio perdura per anni. Nei pazienti con meno di 60 anni il rischio relativo di infarto dopo un TIA era di 15 volte quello osservato nella popolazione generale (RR 15,1; 95%CI 4,11 - 38,6). Fattori di rischio indipendenti di infarto dopo un TIA risultarono, oltre all'aumento dell'età, il sesso maschile e l'assunzione di farmaci ipolipemizzanti al momento dell'evento cerebrale (probabilmente perchè chi assume questi farmaci era già a rischio cardiovascolare più elevato).
Fonte:
Burns JD et al. Incidence and Predictors of Myocardial Infarction After Transient Ischemic Attack A Population-Based Study. Stroke. Pubblicato anticipatamente online il 24 marzo 2011. http://goo.gl/siUJc
Commento di Renato Rossi
Era noto da tempo che il TIA, anche se si risolve con la completa restitutio ad integrum, rappresenta un importante segnale di allarme per un rischio molto elevato di un futuro ictus. Pertanto questo tipo di pazienti deve essere attentamete studiato dal punto di vista diagnostico e devono essere trattati in modo aggressivo i fattori di rischio cardiovascolare eventualmente presenti. Lo studio recensito in questa pillola ci ricorda però che la malattia aterosclerotica raramente colpisce a compartimenti stagni e che se il primo sintomo è stato a carico del cervello anche l'albero coronarico può essere contemporaneamente compromesso, pur se clinicamente le lesioni in questo distretto sono ancora silenti. Addirittura lo studio di Burns e coll. mostra che, negli anni che seguono un TIA, il rischio di infarto miocardico è molto più elevato di un ictus. Negli uomini con meno di 60 anni il rischio è di quindici volte più elevato rispetto a quello della popolazione generale. Questo dato deve richiamare l'attenzione del medico che, dopo un TIA, non deve limitarsi a studiare solo il circolo cerebrale, ma concentrare l'attenzione anche su quello coronarico (ECG da sforzo, eventuale TAC coronarica a basso dosaggio). In più questi risultati impongono ancor di più un trattamento aggressivo di tutti i fattori di rischio cardiovascolare presenti.
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